L’accordo di Washington accontenta tutti ma non ferma l’Iran nucleare

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L’accordo di Washington accontenta tutti ma non ferma l’Iran nucleare

14 Aprile 2010

Più cooperazione per arginare la proliferazione nucleare, più sicurezza nel rispetto della sovranità nazionale dei singoli stati e per proteggere i materiali più pericolosi entro quattro anni, l’appoggio alla AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Questi i punti decisivi dell’accordo siglato ieri da quarantasette capi di stato, ministri e delegati chiamati a raccolta per il più grande vertice internazionale dalla fondazione delle Nazioni Unite. Tutti a Washington, alla corte di Obama, per una due giorni denominata Nuclear Security Summit.

Lo scopo dell’iniziativa, che ha ripreso i temi fondanti enunciati dal presidente americano nell’ultimo Nuclear Posture Review, è stato quello di mettere un freno alla minaccia del terrorismo nucleare in quanto, ha detto il presidente nel suo discorso ufficiale, “sarebbe una catastrofe per il mondo se al-Qaeda entrasse in possesso di armi nucleari”. Vent’anni dopo la fine della Guerra Fredda, ha continuato il presidente americano, “siamo di fronte a una crudele ironia della storia: il rischio di un confronto nucleare tra nazioni è diminuito, ma il rischio di un attacco nucleare è aumentato”. Osservato speciale del vertice, insieme al network di Bin Laden, è stato ovviamente anche l’Iran: Washington ha fatto pressioni perché il Consiglio di Sicurezza dell’Onu vari una nuova tornata di sanzioni, possibilmente efficaci, ma per fare questo ha dovuto convincere il presidente cinese, Hu Jintao, a seguire gli Stati Uniti su questa strada. Una missione tutt’altro che abbordabile.

Sin dall’inizio del summit, dunque, i riflettori della stampa si sono concentrati sull’atteso incontro tra Obama e il suo omologo cinese. Se il terrorismo nucleare resta al momento uno spettro che aleggia sulla sicurezza internazionale, la corsa di Teheran alla bomba appare un tema molto più concreto. Lunedì, Obama e Hu Jintao hanno parlato per un’ora e mezza e, secondo un funzionario della Casa Bianca citato dal “New York Times”, il presidente americano avrebbe illustrato alla Cina un possibile pacchetto di sanzioni: misure per impedire a Teheran l’accesso al credito internazionale, taglio degli investimenti stranieri nel settore energetico iraniano e interventi contro le società facenti capo ai guardiani della Rivoluzione. “Fino a due settimane fa”, ha commentano il funzionario, “la Cina non avrebbe neppure discusso un progetto di risoluzione”. Per vincere le resistenze di Pechino, che importa dall’Iran il 12% del proprio petrolio, gli Stati Uniti sarebbero inoltre alla ricerca di produttori (Arabia Saudita in testa) per garantire nuove forniture energetiche alla Cina in caso di sanzioni a Teheran.

“I due presidenti hanno convenuto sul fatto che bisogna lavorare per approvare nuove sanzioni a New York”, ha dichiarato il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jeffrey A. Bader, “ed è quello che faremo”: i cinesi, ha continuato Bader, “hanno chiarito di essere pronti a collaborare con noi”. A frenare l’ottimismo americano, però, ci ha pensato il portavoce della delegazione cinese Ma Zhaoxu, secondo il quale tra le due parti permangono divergenze su tipologia ed efficacia delle sanzioni. La versione di Pechino, dunque, è che Stati Uniti e Cina “sono alla ricerca di soluzioni effettive per risolvere la questione del nucleare iraniano, attraverso il dialogo e i negoziati” che al momento, per i cinesi, restano la via maestra per fronteggiare Ahmadinejad. La sensazione, insomma, è che la Cina sia ancora lontana da un accordo concreto con gli altri membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e – finché non avrà rassicurazioni sul fronte delle forniture energetiche alternative – difficilmente sposerà una linea intransigente contro Teheran. "La Cina sta andando nella buona direzione – ha detto il cancelliere tedesco Merkel – ma l’esito delle nuove sanzioni è sconosciuto".

Il Nuclear Security Summit – in cui tutti i partecipanti hanno convenuto sulla minaccia dettata dall’incontro tra terrorismo e armi di distruzione di massa – è stato anche l’occasione per incontri bilaterali estranei ai temi oggetto di discussione. Obama e Hu Jintao, ad esempio, hanno parlato anche di valuta monetaria: gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di legare lo yuan all’andamento dei mercati, una misura fondamentale – spiega Bader – per garantire “una ripresa economica sostenibile e bilanciata”. L’incontro di Obama con il presidente ucraino Viktor Yanukovich, poi, ha portato Kiev a formalizzare l’impegno a liberarsi del materiale fissile conservato nel paese entro il 2012. Il premier italiano Silvio Berlusconi si è invece incontrato con il presidente brasiliano Lula: oltre ad aver firmato un accordo di cooperazione strategica ed economica, i due hanno parlato del caso Battisti. Il premier ha auspicato una risoluzione del caso, confidando in Lula a cui spetta la parola finale sull’estradizione dell’ex-terrorista.

Proprio il Brasile, insieme alla Turchia, hanno rifiutato di accettare nuovi sanzioni. Parliamo di due nazioni che negli ultimi tempi hanno intensificato il dialogo con l’Iran e proprio ieri una delegazione "carioca" è stata in viaggio a Teheran. Il premier turco Erdogan, a sua volta, anche lui invitato a un incontro bilaterale con Obama, ha ribadito che il suo Paese preferisce fare da mediatore con l’Iran piuttosto che votare le nuove sanzioni. Il prossimo Nuclear Security Summit sarà ospitato dalla Corea del Sud nel 2012.