L’accordo è soddisfacente ma parlare di amicizia con la Libia è sbagliato
01 Settembre 2008
di Anna Bono
Si intitola “Trattato d’amicizia, partenariato e cooperazione” l’accordo firmato il 30 agosto a Bengasi dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per l’Italia, e dal colonnello Muhammar Gheddafi, per la Libia. Magari ‘partenariato’ e ‘cooperazione’ potevano bastare: di ‘amicizia’ meglio parlare dopo che il popolo libico ammetterà, ad esempio, di aver inflitto a sua volta dei grossi torti agli italiani residenti in Libia quando, nel 1970, li ha costretti ad abbandonare le loro attività produttive – di cui pure i libici beneficiavano – e ne ha confiscato ogni bene per quanto guadagnato lavorando, non certo sottraendolo a qualcuno con l’inganno o con la forza.
Occorrerà anche, per avviare rapporti amichevoli di reciproca confidenza, che il popolo libico riconosca gli aspetti positivi – e non soltanto le “profonde ferite” – imputabili alla colonizzazione italiana. Tra il 1911 e il 1943 l’amministrazione coloniale italiana ha trasformato il paese introducendovi infrastrutture, tecnologie e istituzioni moderne: quando se n’è andata, non se le è certo portate appresso.
Amicizia a parte, a un accordo si doveva arrivare e i termini in cui è stato redatto, ammessa la necessità dell’indennizzo, si possono considerare soddisfacenti. Un risultato certo, e molto importante, dei negoziati che hanno portato alla “storica firma” del 30 agosto è lo scaglionamento nel tempo dell’importo che l’Italia ha promesso di pagare a saldo dei risarcimenti chiesti dal leader libico per i danni materiali e morali del regime coloniale. La somma concordata di cinque miliardi di dollari verrà corrisposta nell’arco di 20 anni, per un ammontare di 250 milioni di dollari all’anno. Questo fa si che se il colonnello Gheddafi, o chi in futuro prenderà il suo posto, verrà meno ai propri impegni – che includono, tra l’altro, la vigilanza delle coste per mettere fine alle attività dei traghettatori di emigranti – il governo italiano potrà sempre sospendere i pagamenti.
Un altro risultato positivo è che i risarcimenti serviranno a costruire infrastrutture e abitazioni e verranno utilizzati per altri scopi socialmente rilevanti. Se poi tali attività saranno affidate a ditte italiane, purché scelte con gare d’appalto trasparenti, anche la nostra economia ne trarrà giovamento. Quanto agli altri punti del documento siglato a Bengasi – intensificazione della partnership economica, forniture energetiche, collaborazione scientifica e culturale, attività congiunte di contrasto al terrorismo e alla criminalità… – c’è solo da sperare che si realizzino, contribuendo molto utilmente a svincolare la Libia dal resto del mondo arabo-islamico in un momento in cui Gheddafi già sembra di nuovo orientato a concentrarsi sul continente Africano e sulla realizzazione del progetto al quale si è dedicato negli ultimi anni: la nascita degli Stati Uniti d’Africa.
A conferma dell’attuale prospettiva della sua politica estera, il 29 agosto Gheddafi è stato insignito del titolo onorifico di “Re dei re, dei sultani, dei principi, degli sheikh e dei sindaci d’Africa” dall’annuale forum dei capi tradizionali africani che quest’anno ha riunito a Bengasi oltre 200 personalità provenienti da tutto il continente. L’iniziativa intende premiare il ruolo svolto dal “fratello Gheddafi” per la “liberazione dell’Africa dal dominio coloniale, per la sua dignità e per la sua unificazione”.
Il trattato con l’Italia e il riconoscimento dei capi tradizionali coronano un momento di grazia per il colonnello che, proprio in questi giorni, festeggia con celebrazioni in tutta la Libia il 39° anniversario della rivoluzione che il 1° settembre del 1969 lo ha portato al potere rovesciando re Idriss e instaurando una repubblica socialista: dopo la morte di Gnassingbe Eyadema, presidente del Togo dal 1967 al 2005, in Africa Gheddafi è secondo solo a Omar Bongo (presidente del Gabon dal 1967) per longevità politica.