L’acqua è un bene di lusso, proprio per questo non dobbiamo sprecarla

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L’acqua è un bene di lusso, proprio per questo non dobbiamo sprecarla

07 Maggio 2009

Al quinto Forum mondiale, che si è concluso lo scorso 22 marzo a Istanbul, non è stato trovato un accordo sul “diritto di accesso all’acqua” che, pur restando una necessità primaria per la vita dell’uomo, da oggi non costituisce più un diritto. Dai dati Onu nel report “Water in a changing world” è emerso che, in tutto il mondo, le persone del tutto prive di accesso all’acqua sono già 2,5 miliardi e si registra una costante crescita della popolazione mondiale con il conseguente aumento del fabbisogno d’acqua di circa 64 km3 all’anno.

A questo scenario si aggiunge poi quello tracciato nel rapporto dell’Unione Europea, divulgato lo scorso 30 marzo, che delinea un quadro drammatico sulle conseguenze economiche, di salute e di vivibilità, alle quali potrebbero ulteriormente contribuire anche piccoli cambiamenti climatici, come è il caso dell’aumento della temperatura media globale tra 2,2 e 3°C. In Italia in particolare sono prevedibili ondate di caldo, incendi, flessione del turismo, calo della produzione agro-alimentare e scarsità d’acqua potabile.

Il testo conclusivo del Forum di Istanbul, quindi, si è limitato a esortare i diversi Paesi a fare economia di acqua, specialmente nel settore agricolo. Confrontando però i dati dei consumi di acqua per km3/anno nelle diverse regioni del mondo si deduce che la percentuale di acqua utilizzata in Europa per l’agricoltura non ha un’incidenza significativa se paragonata all’acqua utilizzata per scopi industriali. Inoltre risulta che l’acqua per usi domestici in ambito urbano impiega a livello percentuale una quota altamente significativa, tanto da classificare il nostro continente al 3° posto mondiale a livello di consumi, dopo Asia e Nord America.

Tralasciando una valutazione sul consumo di acqua a livello industriale, possiamo focalizzare l’attenzione sugli usi domestici dell’acqua in Europa e, di conseguenza anche in Italia. Ed è qui che il ruolo dei cittadini può offrire un contributo davvero positivo negli usi domestici di un’acqua – che è bene sottolinearlo – è anche potabile. Allo scenario sopra prospettato e al richiamo a un risparmio dell’acqua, il più delle volte si sente obiettare che l’acqua – essendo un bene rinnovabile – non può finire. Tale considerazione è corretta solo se si tiene conto del calcolo a livello globale.

Spiegandolo in maniera sintetica: il vapore acqueo prodotto dal mare per il riscaldamento solare e dal mondo vegetale per il processo di evapo-traspirazione viene trasportato dalle correnti ascensionali nell’atmosfera dove si condensa in minuscole goccioline che formano le nuvole. Incontrando correnti d’aria fredda, queste gocce precipitano a terra sottoforma di pioggia, neve o grandine. Parte delle precipitazioni si muove negli strati superficiali del terreno e viene utilizzata dal mondo vegetale, tornando per l’evapo-traspirazione a reinnescare il ciclo dell’acqua. Un’altra parte riemerge, come deflusso superficiale, verso i corsi d’acqua e da lì torna ai mari per dare inizio a un nuovo ciclo. Un’ultima parte, ben più consistente, scende in profondità nel sottosuolo (processo di infiltrazione), andando ad aumentare le enormi riserve di acqua sotterranea, da cui per mezzo dell’estrazione viene a essere garantita la nostra vita quotidiana.

Anche attraverso l’uso antropico, l’acqua ritorna al suo ciclo naturale, attraverso il sistema fognario che, dopo la necessaria depurazione, la riconvoglia nei fiumi e nei mari. Tuttavia quest’ultimo processo impedisce il passaggio dell’acqua dal luogo di uso al terreno, provocando, anche se spesso impercettibilmente, un impoverimento delle falde. A questo quantitativo vanno aggiunte le precipitazioni in ambito urbano che, a causa di pavimentazioni non drenanti (asfalto e cemento) che impediscono l’infiltrazione, vengono convogliate nelle fogne.

La valutazione condotta a livello locale – e in particolare nell’ambito urbano – fa quindi ripensare attentamente il concetto dell’acqua come risorsa rinnovabile. Infatti, l’impoverimento di riserve nel sottosuolo registrabile a livello locale, se valutato prendendo in considerazione il graduale riscaldamento climatico causato dall’effetto serra, in particolare nei paesi a clima caldo o temperato, comporta la progressiva diminuzione delle precipitazioni (per assenza di condensazione locale) e quindi la contestuale modificazione di quel luogo prima verso la siccità, poi verso l’aridità e infine verso la desertificazione.

Nel passato esistevano molti metodi di raccolta dell’acqua, che da serbatoi e cisterne veniva poi utilizzata nelle abitazioni. Si pensi all’ingegnoso sistema dei Sassi di Matera per sfruttare l’umidità delle grotte quale riserva idrica. Oppure alla raccolta dell’acqua meteorica nell’impluvium della casa romana. Questi sistemi permettevano di avere disponibilità dell’acqua e rinfrescamento estivo. Anche oggi negli edifici “sostenibili” vengono messi a punto espedienti per fronteggiare lo spreco d’acqua tra cui la diffusione di tetti verdi che, accanto a un ottimo contributo per l’isolamento termico, offrono anche il vantaggio della raccolta piovana.

Anche in ambito domestico, con semplici rivisitazioni degli impianti idraulici (in particolare in occasione delle ristrutturazioni e magari attraverso opportuni incentivi economici), è comunque possibile sostituire il 50% dell’acqua potabile con acqua meteorica – raccolta, accumulata, filtrata e distribuita attraverso una rete idrica separata – per adibirla a servizi igienici, lavatrici, irrigazione, impianti antincendio e impianti termosanitari. Oppure recuperare le acque grigie riutilizzandole, con impianti opportuni, per usi secondari.

Tempo fa una pubblicità dichiarava “L’acqua è una ricchezza. Non buttarla” e dal rubinetto aperto fuoriuscivano perle o brillanti. Infatti, l’attenzione allo spreco di acqua può essere portata avanti da ciascuno di noi: fare la doccia anziché il bagno, interrompere il getto d’acqua quando ci si insapona, chiudere il rubinetto quando non serve. Azioni che richiedono un piccolo sforzo ma che, alla fine, producono un sicuro risparmio idrico domestico.

Alla luce di quanto dichiarato a Istanbul e di quanto prospettato dall’Unione Europea, il tema del risparmio idrico assume un’importanza mai fino a oggi così chiaramente percepita. Se l’acqua non è più un diritto, poterne disporre liberamente diventa un “lusso”. Tutti siamo quindi chiamati a porre attenzione al bene prezioso che abbiamo. E tutti siamo chiamati a impegnarci perché questa attenzione risulti efficace.

In molte città europee una questione ricorrente è legata all’opportunità o meno di avere fontanelle che erogano acqua potabile 24 ore al giorno. A Roma sono 2.300 le fontanelle aperte 24 ore su 24, con un costo di gestione per l’amministrazione comunale di circa 2 milioni di euro annui. Dove va a fine quest’acqua? L’acqua delle fontanelle finisce direttamente in fogna.

Perché quindi si tengono aperte? L’acqua, fuoriuscendo continuamente, risolve alcuni problemi immediati. Permette di bere acqua fresca, non surriscaldata in estate. Mantiene, attraverso un flusso continuo, pulita la tubatura di adduzione, evitando così il proliferare batterico dell’acqua stagnante, a garanzia della salute di coloro che potrebbero berla. Impedisce che in assenza di flusso il sistema fognario resti asciutto con conseguente formazione di cattivi odori. Così facendo, si evitano possibili pressioni eccessive nell’acquedotto che potrebbero generare problemi (rotture, collassi) al sistema di adduzione.

Al calore e alla proliferazione batterica si potrebbe ovviare attraverso un rubinetto accanto al quale mettere un cartello inviti a far scorrere qualche minuto per poter bere acqua fresca e potabile. Sarà sempre uno spreco minore rispetto al flusso continuo! Altrimenti la soluzione a questo problema diviene più drastica con due risvolti. Siccome è stato negato il diritto all’accesso dell’acqua, le fontanelle potrebbero essere completamente eliminate. Oppure le fontanelle potrebbero rimanere solo nei luoghi ad alto flusso pedonale, facendo divenire l’acqua un “bene di lusso” destinato a chi usa veramente la città in maniera sostenibile, cioè a piedi.

I problemi invece legati alla manutenzione del sistema di adduzione e di smaltimento italiano, che comportano sprechi ben più gravosi, coinvolgono scelte politiche e maggiori risorse economiche rispetto al tema delle fontanelle. In questo senso la questione è molto più complessa. Ma è attraverso piccoli segnali di cambiamento che la riqualificazione degli acquedotti potrebbe ritrovare l’attualità che merita.