Lacrime e pugno chiuso: così è iniziato il processo Breivik
17 Aprile 2012
Vestito scuro, camicia bianca, cravatta color oro. Pettinato con cura, rasato. Si è presentato come ‘scrittore’. Ha dichiarato di non riconoscere la Corte e ha ascoltato senza emozione la lettura dei nomi delle persone che ha ucciso. A salutato il mondo e i familiari delle sue vittime mostrando il braccio teso e il pugno chiuso. Ha pianto. È Anders Behring Breivik, l’uomo che lo scorso 22 Luglio scorso ha ucciso settantasette persone tra Oslo e l’isola di Utøya. Ieri è cominciato il processo a suo carico.
A Oslo le misure di sicurezza sono state imponenti: controlli severissimi per accedere nel tribunale, chiusa al traffico l’area intorno all’edificio, interdetto ai piccoli velivoli lo spazio aereo sulla capitale. Breivik è arrivato a bordo di un pulmino della polizia: di mattina presto, sotto scorta. È entrato nell’aula accolto dal rumore frenetico degli otturatori delle macchine fotografiche. Non appena gli sono state tolte le manette, si è voltato verso i familiari di alcune delle vittime e ha teso il braccio col chiuso pugno: un saluto che, nel suo linguaggio, dovrebbe significare forza e onore, oltre che una sfida a quelli che considera i tiranni marxisti di tutta Europa.
È così che ieri tutto è cominciato. È così che ieri è cominciato il processo e insieme lo show dell’uomo che lo scorso luglio ha sconvolto la Norvegia.
Breivik ha detto subito cose che erano attese. Ha detto di non riconoscere la corte: “Non riconosco i tribunali norvegesi. Avete ricevuto il vostro mandato da partiti politici che sostengono il multiculturalismo. Non riconosco l’autorità del tribunale”. Ha ammesso di aver commesso i fatti di cui è accusato ma che non si ritiene colpevole. Ha agito per legittima difesa, ha spiegato: una difesa, la sua, contro il multiculturalismo. Si difende attaccando, Breivik, e ai suoi legali non resta che seguirlo. L’avvocato Geir Lippestad – ieri seduto alla sua destra – l’aveva annunciato alla vigilia del processo: si punta all’assoluzione, è un’impresa disperata ma non c’è altra via. “La nostra unica opzione è spiegare perché Breivik ha fatto quello che ha fatto. Siamo costretti a portare avanti i suoi argomenti”. Lo faranno cercando di spiegare l’ideologia di Breivik, i suoi progetti, i perché delle sue azioni.
Nell’aula sono riecheggiate le parole del procuratore, che ha letto l’incrimazione. Nessuna emozione sul viso di Breivik, quasi distratto mentre venivano sciorinati i capi d’imputazione. Impassibile lo è rimasto anche di fronte alla lettura dei settantasette nomi delle vittime e al video che ritrae i momenti precedenti all’esplosione nel centro di Oslo: fotogrammi di persone che camminano ignare, un attimo prima dell’orrore. Alcuni familiari delle vittime hanno preferito non assistere alla proiezione. Breivik si è sistemato la cravatta: nient’altro.
Il procuratore ha deciso di giocare subito carte forti, ieri, come la diffusione della registrazione di una telefonata alla polizia fatta da una ragazza nascosta in un bagno nell’isola di Utøya: “Venite subito… spara continuamente”, dice la giovane: in quei momenti Breivik stava dando la caccia alle sue vittime, con la stessa freddezza con la quale ieri ha riascoltato queste parole. Ma il ghiaccio si è sciolto quando nell’aula del tribunale è stato trasmesso un filmato: dodici minuti di immagini diffuse proprio da Breivik il giorno del massacro. Dodici minuti di propaganda contro gli immigrati. Dodici minuti di fronte ai quali Breivik ha pianto. “Quello che lui ha commesso” ha spiegato l’avvocato Lippestad, “è stato fatto per salvare l’Europa da una guerra in corso”. Per questo ha pianto. L’immagine della giornata di ieri è anche questa: le lacrime. Lacrime e un braccio teso.
Sono una quarantina i testimoni che la difesa chiamerà a testimoniare. Ma l’attesa è tutta per le parole che Breivik pronuncerà in aula: non si farà sfuggire l’occasione di parlare di fronte alle centinaia di giornalisti accorsi a Oslo per assistere al processo più importante nella storia della Norvegia dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Ieri c’erano le tv e i quotidiani di tutto il mondo: dal Giappone agli Stati Uniti, passando per il Medio Oriente e l’Europa. Molti giornalisti si alterneranno per coprire questi mesi di udienze. Tutti in attesa di una nuova immagine da pubblicare in prima pagina – ieri lacrime e braccia tese, domani chissà cos’altro.
Come andrà a finire è difficile saperlo. Il processo dovrebbe durare una decina di settimane, la sentenza dovrebbe arrivare in estate. Di fronte a un imputato che si è già dichiarato colpevole, il compito del tribunale sarà sostanzialmente uno: decidere se Breivik sia o no sano di mente. Due perizie hanno espresso un giudizio: la prima lo aveva dichiarato incapace di intendere e di volere; la seconda non ha rintracciato nella sua mente tracce di psicosi. Quale linea prevarrà? Se pazzo, Breivik verrà internato in un manicomio criminale. Se sano – come lui stesso si è più volte dichiarato – rischia ventuno anni di carcere, estendibili qualora alla fine della pena lo si ritenga un pericolo per la società. Come finirà non è dato saperlo. Sappiamo come ieri tutto è cominciato. Con un braccio teso, un pugno chiuso e le lacrime.