L’affondo del legale di Perna alla Procura: “Piccola realtà di provincia, hanno sbagliato in buona fede”
13 Gennaio 2012
di L. C.
Almeno per un po’ Tonino Perna, l’ex patron della It Holding arrestato dalle fiamme gialle con l’accusa di bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale, dovrà restare nel carcere di Isernia. Il suo avvocato di fiducia Marco Franco, un po’ a sorpresa, non ha presentato un’istanza immediata al Gip Roberta D’Onofrio al termine dell’interrogatorio di garanzia. Ha preferito rivolgersi direttamente al tribunale del Riesame di Campobasso, dove ieri ha presentato la richiesta di revoca della misura cautelare.
Una scelta dettata da almeno un paio di motivi. Il primo: in questo modo avrà più giorni a disposizione per preparare la memoria difensiva. Ricostruire tutta la vicenda non è affatto facile, ha fatto notare il legale. Alcune delle operazioni contestate risalgono addirittura a 14 anni fa. Secondo: preferisce che venga espresso il parere di “un giudice terzo, che valuterà in maniera più asettica quanto emerso nell’interrogatorio”. L’udienza al tribunale della Libertà sarà fissata non prima di dieci giorni, forse anche più, visto che gli atti devono prima essere trasmessi dal palazzo di Giustizia isernino a quello di Campobasso.
Nel frattempo, l’avvocato Franco affila le sue armi. Ma fanno altrettanto anche i commissari straordinari che presero in mano le redini delle diverse società che costituivano uno dei più importanti gruppi del settore tessile, finito improvvisamente a un passo dal fallimento. Furono proprio gli inviati dell’allora ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola – Stanislao Chimenti, Andrea Ciccoli e Roberto Spada – a portare la documentazione contabile in Procura. Dalle loro segnalazioni, risalenti al 2009, è partita l’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex re dell’alta moda. La “triade” ha deciso di costituirsi parte civile in questo procedimento, affidandosi all’avvocato Arturo Messere, del foro di Campobasso. Inevitabilmente sarà un’arma in più (seppur indiretta) in mano alla Procura di Isernia, apparsa in verità un po’ stizzita da alcune dichiarazioni rilasciate dall’avvocato di Perna alla vigilia dell’interrogatorio di garanzia: “Si era parlato di barbarie, di accuse inesistenti. E invece dopo l’interrogatorio davanti al gip siamo ancora convinti della nostra tesi: sono state confermate le grossissime perdite su cui poggia l’impianto accusatorio”, ha dichiarato ai cronisti in attesa della fine dell’interrogatorio tenutosi mercoledì pomeriggio al palazzo di giustizia di Isernia.
Certo è che l’avvocato Franco proprio tenero non è stato. Né prima, né dopo: “Secondo me il consulente del pm ha commesso degli errori di valutazione. Mi metto anche nei panni – ha detto – dei giudici e della Procura di una piccola realtà di provincia, dove non c’è la Borsa, dove non operano imprese di un certo livello. Si sono trovati a gestire una situazione del tutto nuova. Hanno sbagliato in buona fede, ma non posso perdonare loro questi errori e l’asserita sussistenza di esigenze cautelari. Reiterazione del reato? Lui (Perna, ndr) al momento non è amministratore di una società, né sindaco, né direttore generale, né singolo imprenditore. Come può reiterare i reati? Inquinamento delle prove? Stiamo parlando di contestazioni che risalgono tra 4 e 14 anni fa”. L’avvocato Franco ha definito fantasioso anche il teorema delle scatole cinesi: “Una fantastica mistificazione – ha commentato – il meccanismo attraverso cui Perna avrebbe fatto della Pa Investiment, (società con sede nel Lussemburgo, ndr), la sua cassaforte di famiglia. Il meccanismo delle scatole cinesi avviene – ha precisato – quando si crea una filiera di società intestate a soggetti non identificabili. Si è di fronte a prestanome. Nel nostro caso è tutto identificabile perché i soci sono certi, gli amministratori sono certi e le sedi sono certe. Gli spostamenti di denaro sono rimasti all’interno del gruppo. Perciò non ha nemmeno senso parlare di un danno patrimoniale di 61 milioni di euro. Se errori ci sono stati, Perna li ha fatti in buona fede. Non è l’unico imprenditore che ne ha commessi. La verità è che nel 2008, in seguito alla crisi finanziaria, le banche hanno chiuso i rubinetti”. Anche sul sequestro preventivo dei beni dell’ex presidente della It Holding Franco ha da ridire: “Si è tanto parlato della villa di Capri, ma non è vero che veniva usata per fini personali. A parte il fatto che è stata acquistata legittimamente, faccio notare che a quei livelli tutti hanno una sede di prestigio. Altre società dello stesso livello ne possiedono di più costose”.
Una riflessione comunque è d’obbligo: Perna avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Per poi preparare con tutta calma la sua memoria difensiva. Avrebbe avuto più tempo a disposizione per recuperare e mostrare la documentazione necessaria. Invece, durante le cinque ore di interrogatorio, ha risposto in maniera dettagliata a tutte le domande, come ha ammesso lo stesso procuratore Albano. Certo è che l’esperienza in carcere lo ha scosso. Lo sta mettendo a dura prova. Per il suo avvocato, l’imprenditore isernino non solo non dovrebbe stare in carcere, ma non dovrebbe neanche essere avvicinato a una realtà del genere. “È una persona perbene, che ha dato migliaia di posti di lavoro in una realtà difficile come il Molise. È ingiusto che si trovi lì. Certo, è prostrato perché si trova in una condizione che non gli appartiene, ma è determinato; pronto a dimostrare la sua innocenza. Il mio assistito – ha concluso Franco – è stato combattivo davanti al gip. Crede nella giustizia, ma è offeso dalle accuse che gli vengono mosse”. Certo, come accade di solito in questi casi tra le tesi dell’accusa e quelle della difesa c’è un abisso. La complessità e la mole dei fatti da accertare lascia supporre che passerà del tempo prima che si riesca a rintracciare il bandolo della matassa e prima che si arrivi a capire cosa (o chi) ha messo in ginocchio la It Holding dopo la sua grande stagione di successo.