L’Africa esporta clandestini perché soffre di fame e sottosviluppo
17 Giugno 2008
di Souad Sbai
Negli ultimi giorni centocinquanta persone dirette in Italia hanno perso la vita in un naufragio al largo della Libia. Un altro barcone è affondato nelle acque di Malta, causando la morte di sei migranti, tra cui alcuni bambini. Ventotto dei somali a bordo si sono salvati miracolosamente aggrapandosi alle gabbie per tonni di un peschereccio. E ancora, quarantasei clandestini sono stati soccorsi a sud-est di Lampedusa e altri sei sono stati intercettati nei pressi di Marettimo. Non dimentichiamo che gli immigrati che stanno trovando la morte nel Mediterraneo, passando per
Il problema dell’immigrazione illegale non potrà essere risolto se prima non verrà promossa la collaborazione con i paesi africani d’origine e se non verranno intensificati i negoziati e gli accordi bilaterali già esistenti con il governo di Tripoli e con gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. D’altra parte, di fronte all’ennesima strage di clandestini si rende sempre più urgente una posizione comune dell’Unione Europea. La recente disfatta del vertice Fao di Roma brucia come una ferita che non si è mai rimarginata e ci ricorda che la fame non aspetta. Aldilà degli stanziamenti e delle parole, è mancata la giusta coesione tra i grandi della terra affinché si pianificasse a lungo termine un progetto comune di sviluppo.
Quello che serviva e su cui non si è trovato l’accordo era un piano urgente per soccorrere in tutto il mondo circa 860 milioni di persone denutrite. Parafrasando l’economista Joseph Stiglitz, la globalizzazione “può funzionare” e può rappresentare una forza positiva, perché ha diffuso gli ideali di democrazia e benessere, ma a beneficiarne negli ultimi decenni sono stati soltanto i paesi caratterizzati da ordinamenti stabili e da economie evolute. Sfortunatamente, a causa dell’instabilità del sistema economico globale e delle politiche miopi ed egoistiche dei maggiori organismi monetari e finanziari internazionali, nel terzo e nel quarto mondo qualcosa non ha funzionato ed è lì che i tassi di disoccupazione e i prezzi alimentari hanno subito un’impennata, che il reddito pro capite si è ridotto progressivamente e anche l’indispensabile “manciata di riso” ha tardato ad arrivare.
E’ l’Africa l’emblema della denutrizione e la vittima principale sacrificata all’altare del summit della Fao. Nulla di fatto a favore di paesi come l’Uganda, in cui le popolazioni del nordest si sono ridotte a nutrirsi di topi e di foglie degli alberi a causa delle ripetute alluvioni, delle siccità e delle fluttuazioni dei prezzi del cibo. Senza dimenticare la tragedia che si sta consumando in Sudan, il più grande stato africano, dove finora più di 200 mila persone hanno perso la vita e oltre 2 milioni sono stati i rifugiati, tra donne ridotte in schiavitù e violentate, bambini privi dei generi alimentari di prima necessità. Decenni di lotte hanno ridotto le infrastrutture sudanesi in frantumi e raso migliaia di villaggi al suolo. I risvolti della pace sarebbero prolifici tanto per la popolazione quanto per le istituzioni: il territorio del Sudan presenta ettari di aree coltivabili, giacimenti petroliferi, miniere d’oro e piantagioni di cotone abbandonate (ad oggi il Sudan è il terzo produttore africano di petrolio).
Nonostante il massacro in atto fosse noto, benché taluni abbiano gridato al genocidio, in cinque anni il mondo è restato sostanzialmente a guardare ed i mass media non hanno fornito all’opinione pubblica una copertura costante e adeguata. Un giorno non troppo lontano, quando le ostilità saranno cessate, la popolazione avrà bisogno di un incalcolabile investimento finanziario per risollevarsi. Quel giorno
Souad Sbai è deputata del Parlamento italiano per il Popolo della Libertà.