Laici e cattolici: la lezione di Augusto Del Noce

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Laici e cattolici: la lezione di Augusto Del Noce

24 Giugno 2007

E’ molto difficile affrontare realisticamente il tema della laicità prescindendo dalla lezione di Augusto Del Noce, riproposta in questi giorni dalla pubblicazione di una antologia di suoi scritti: Augusto Del Noce, Verità e ragione nella storia. Antologia di scritti, a cura di A. Mina, Rizzoli, Milano 2007, p. 331. Difficile perché Del Noce spiazza sia i cattolici che i laici sostenendo che comunque all’origine c’è la fede per gli uni e per gli altri. Se non andiamo errati è la stessa convinzione di Joseph Ratzinger: «Ogni uomo deve in qualche maniera prender posizione di fronte al settore delle decisioni fondamentali, e nessun uomo è in grado di farlo se non appigliandosi ad una fede». Non può essere la sola ragione a dirmi se la ragione è autosufficiente o no, che la natura umana sia corrotta o incorrotta me lo dice solo la fede. La laicità della modernità, dice Del Noce, è proprio questa pretesa autosufficienza della natura. Il razionalismo moderno è pelagiano (o molinista, direbbe ancor meglio Del Noce) in quanto pensa che il piano naturale abbia in sé la capacità di salvarsi, rimanendo nell’immanenza, essendo già completo nel suo ordine. La ragione è capace di costruire il bene comune senza bisogno della carità. La filosofia è in grado di arrivare alla verità senza bisogno della fede. La politica è in grado di far funzionare le cose senza bisogno della religione. Per comprendere la realtà non c’è bisogno di Dio. Il mondo funziona etsi Deus non daretur. Così pensando, però, non solo si rende il cristianesimo superfluo, in contrasto con quanto ci dice invece la nostra storia passata, ma anche si chiude la ragione in se stessa, assolutizzandola e facendone un idolo.

Il cristianesimo ha la pretesa non solo di essere utile per far funzionare le cose del mondo, ma anche di essere indispensabile. E’ per questo che rivendica un ruolo pubblico e non accetta di essere relegato nel privato. Per questo i cristiani non potranno mai rinunciare ad una loro presenza unitaria nel mondo: il problema, infatti, non è di dare una mano a far funzionare meglio i servizi sociali ma di annunciare una salvezza.  Per questo, infine, il cristianesimo ritiene che la vera laicità sia proprio quella che accetta che il cristianesimo sia indispensabile. Ora, una laicità della autosufficienza non può che considerare tale posizione come arrogante e rifiutarla. In questo modo però – e siamo al secondo punto in questione – la laicità bastevole a se stessa considera vero solo quanto si adegua al proprio modello di razionalità e quindi impone al cristianesimo i propri canoni, diventando dittatoriale. Del Noce ha mostrato molto bene come l’esito del razionalismo sia però il nichilismo, realizzato tramite il marxismo, da vedersi come gnosi senza verità.

Tra Pelagio e Agostino non può esserci conciliazione e quindi nemmeno tra una laicità come autosufficienza della natura e il cristianesimo che non rinunci alla propria pretesa. Il conflitto con la modernità era tutto qui, come pure quello odierno con la postmodernità. Del Noce ha mostrato molto bene che il tentativo del progressismo cattolico di staccare la ragione dallo fede riduce il cristianesimo ad un capitolo del razionalismo. Per lui, invece: «Il processo deve andare dalla fede alla ragione, perché il Dio della fede non è il Dio della ragione più qualcosa. C’è un salto perché tutte le conoscenze filosofiche su Dio messe insieme non possono farci raggiungere il Dio redentore. In ragione di ciò, anziché parlare di una fede che si sovrapponga alla conoscenza razionale, bisognerà parlare di una fede che salva la ragione liberandola dall’idolatria di se stessa, dal razionalismo». In altro luogo egli adopera la stessa parola usata dal papa nella Deus caritas est: “purificare”. La pretesa cristiana è che la fede purifica la ragione e, così facendo, la invera proprio come ragione. Etienne Gilson, con cui Del Noce dialoga spesso nei brani antologici riproposti in questo libro, ha mostrato che la teologia medioevale ha potuto produrre filosofia in quanto la fede cristiana contiene implicita una metafisica. Come il filosofo cristiano non può non “filosofare nella fede” senza con ciò essere meno filosofo, così il laico cristiano impegnato nella società e nella politica non opera meglio se dimentica di essere cattolico.

Certamente molti, anche tra i cattolici progressisti, pensano invece che non sia possibile usare argomenti razionali restando contemporaneamente nella fede e che la verità della fede si aggiunga alla verità della ragione ma non la compenetri di sé. Sul piano della concezione della laicità, questa impostazione ritiene che la fede possa dare il proprio contributo alla ragione, ma come un sovrappiù, in quanto la ragione non ne ha, di per sé, bisogno. Essa, la ragione, è in grado di costruire il bene comune, a cui la fede, semmai, potrà concorrere, ma non in modo decisivo. Al massimo è “difficile” che la ragione possa conseguire pienamente il bene comune senza la fede, ma non “impossibile”, come pensa invece Del Noce. Ecco perché i cristiani, nel loro lavoro per il bene comune, dovrebbero attenersi alle ragionevoli ragioni della propria fede, mostrare nel dialogo con gli altri che la propria fede ha anche motivi di razionalità e su questi, non sulla fede, dialogare. I cattolici non devono contrapporre «la propria visione a quella degli altri esasperando il confronto» ma partecipare ad una «ricerca fatta insieme … tanto più importante oggi che la nuova comprensione del bene comune pone gravi problemi inediti di etica pubblica, che non si possono affrontare né risolvere senza l’incontro e la collaborazione di tutti, al di là delle differenze di cultura e di confessione religiosa» (B. Sorge, La Settimana sociale: confrontarsi sul bene comune, in “Aggiornamenti sociali”, giugno 2007, 411). Data questa impostazione i cattolici non dovrebbero appellarsi ai loro motivi di fede ma solo alle argomentazioni razionali, evitando di “imporre” agli altri le loro visioni influendo sulle leggi dello stato, rinunciando all’esistenza di valori non negoziabili. Detto in altre parole: la fede è un andare oltre la ragione, quindi il credente può anche tornare indietro alla ragione – scendere di uno scalino -, togliere alle verità di fede l’abito della fede ed esprimerle solo con quello della ragione, dialogando ed argomentando con tutti gli altri senza la presunzione veritativa della fede. Ma ecco che ritorna il punto fondamentale: la ragione senza la fede sarà ancora ragione? Il bene comune senza la carità sarà ancora bene comune? Il punto è teologico: la natura senza la sovranatura è ancora natura? Il peccato originale ha o non ha indebolito anche la natura umana? Il tema del peccato originale è centrale nelle pagine di Del Noce in quanto è una chiave ermeneutica fondamentale per comprendere la modernità. Secondo lui il razionalismo moderno, di cui il punto più alto è stato il marxismo e quello di non ritorno Nietzsche, è sostanzialmente gnosi, ossia negazione dello status naturae lapsae dell’uomo, negazione della sua realtà decaduta.

Nei giorni scorsi, in un importante discorso alla Caritas internationalis, il Cardinale Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha riconfermato la pretesa cristiana: «La questione di fondo è se la realtà in generale, e la realtà umana in particolare, possano reggersi da sé, siano autosufficienti. La giustizia riesce ad essere tale senza la carità? La ragione riesce ad essere pienamente ragione senza la fede? La realtà materiale riesce a comprendersi veramente senza la trascendenza? Attenzione: dalla risposta a queste domande dipende la storicità del cristianesimo e la sua umanità. Dipende se il Dio cristiano sia il “Dio dal volto umano”, il Dio che in Cristo rivela l’uomo a se stesso, il Dio-con-noi che ci accompagna sulle strade della storia, oppure se sia uno dei tanti déi del mito. Dipende anche il senso e lo spazio dei cristiani nella costruzione di un mondo a misura di uomo. Se essi siano indispensabili o superflui. Dipende anche il fondamento della “identità” cristiana nell’agire nel mondo. Si incentra qui anche la notevole riflessione di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI sulla laicità e sulla “dittatura del relativismo”. Se, infatti, la giustizia, la ragione, la dimensione materiale sono autosufficienti e sono in grado di funzionare benissimo da sole, il cristianesimo diventa superfluo per la vita pubblica e avrebbe ragione la laicità del relativismo a relegarlo nella sfera delle scelte private, a tollerarlo, tuttalpiù, ponendolo nel grande pantheon del supermercato degli déi. Ma come il Dio cristiano non fu accolto nel grande pantheon dei romani, non può stare nemmeno in questo nuovo pantheon postmoderno».

Come si vede, i grandi temi che Del Noce aveva posto ormai parecchi anni fa – è morto nel 1989 – sono ampiamente alla ribalta.