L’Alleanza Atlantica è la stella polare in un mondo che cambia velocemente

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L’Alleanza Atlantica è la stella polare in un mondo che cambia velocemente

09 Ottobre 2009

La Sala delle conferenze internazionali della Farnesina applaude quando arriva la notizia del premio Nobel per la pace al presidente Obama. E’ la seconda giornata delle “Nuove Relazioni Transatlantiche”, la conferenza che ogni anno la Fondazione Magna Carta dedica alla questione dei rapporti tra America ed Europa. Ed è stata proprio la politica estera del presidente americano l’argomento di discussione della I Sessione della giornata, con Spencer P. Boyer, Vice Assistente del Segretario di Stato Clinton per gli Affari Europei, a difendere l’operato di Obama e la sua promessa di un “cambiamento”.

Il discorso del Cairo è il leitmotiv della discussione – e Boyer, con la brevità che contraddistingue gli interventi degli ospiti americani, ricorda “il tono” con cui il presidente pronunciò il suo discorso al mondo arabo, quella promessa di pacificazione che ha caratterizzato l’inizio del suo mandato. Se gli europei vorranno seguire la strada indicata dagli Usa, e condividerne gli ideali, sarà una “wonderful opportunity”. Boyer è uno degli “Obama Boys”, è stato al Center for American Progress, uno dei “pensatoi” più avanzati del mondo democratico, prima di guadagnarsi la carica a fianco della Clinton.

Anche Lawrence J. Korb viene dal Centro diretto da John Podesta, e prova a spiegare quali sono state le differenze d’approccio tra Bush e Obama: il multilateralismo, il cambio di marcia con l’Iran, la distinzione tra “War of Necessity” e “War of Choice” – tra l’Afghanistan del presidente e l’Iraq del suo predecessore. E poi Jonathan Laurence della Brookings Institution, un altro centro studi che ha spesso guardato con simpatia al presidente, ma che ora si chiede qual è la strategia di Obama, se vuole chiudere o meno Guantanamo, se invierà o no altre truppe in Afghanistan. Laurence parla di “finestre di opportunità” da cogliere per affrontare questioni irrisolvibili come il Medio Oriente e il conflitto tra israeliani e palestinesi. Secondo Marco Vincenzino, direttore del Global Strategy Project, ci sono grandi aspettative intorno a Obama ma occorre fare anche i conti realisticamente con quello che sta accadendo nel mondo. Obama ha la necessaria esperienza politica? L’America è davvero pronta ad affrontare i cambiamenti del XXI Secolo?

Per Danielle Pletka, vicepresidente dell’American Enterprise Institute (AEI), il think tank caro ai repubblicani, con il discorso al Cairo Obama ha segnato uno stacco netto con la “Bush Agenda”. I conferenzieri italiani si dividono su questo punto. Se Maurizio Molinari sembra disponibile a valutare le implicazioni dell’approccio di “mutuo rispetto” proposto al Cairo – e il professor Fouad Allam lo ritiene “fondativo”, centrale nella definizione di una “memoria”, nelle nostre relazioni con il mondo arabo e la comunità dell’immigrazione –, il senatore del Pdl Luigi Compagna considera “agghiacciante” lo sceicco Tantawi, “rettore di Al-Azhar e antisemita dichiarato”, e quella del Cairo “una pugnalata alle spalle dei dissidenti arabi”. In ogni caso, da allora, secondo Campagna c’è stata “una correzione” nell’impostazione di Obama, che è diventata più evidente nell’ultimo discorso all’Onu.

La II Sessione della Conferenza è dedicata alla Nato del XXI secolo, al nuovo “Concetto Strategico” dell’Alleanza Atlantica e alla stabilizzazione dell’Afghanistan. Ne parlano i due rappresentanti, italiano e americano, al Consiglio Nato di Bruxelles. Per l’ambasciatore Stefano Stefanini servono delle forze coese per rendere la Nato “l’hub della sicurezza collettiva”, e questo obiettivo sarà raggiunto solo quando avremo risolto il problema della “condivisione della sicurezza” stessa, tra America ed Europa, e poi il resto del mondo, Russia e Cina comprese.

Secondo Ivo H. Daalder, la forza passata e presente dell’Alleanza sta nella sua carta fondativa, la “Carta Atlantica”, che il rappresentante permanente degli Usa a Bruxelles stringe simbolicamente tra le mani durante tutto il suo discorso. “Si deve ripartire da qui – dice – da un documento scritto 60 anni fa”. Nella Carta sono inscritti i principi che aiuteranno Obama, l’America e i suoi alleati, ad agire e a relazionarsi in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso. La strada del presidente americano è quella di “interpretare questo cambiamento”. Daalder rielenca gli articoli del documento, la necessità di avere “Istituzioni forti e libere” (anche se questo dipenderà da tutta una serie di fattori economici e politici), di fronteggiare la minaccia alle democrazie, chiedendosi fino a quando è necessario difendersi prima di contrattaccare, e come bisogna difendersi quando si viene attaccati sul proprio territorio. “Dobbiamo parlare un linguaggio che unisca i popoli…”, conclude. Coinvolgere le opinioni pubbliche, che dovranno sapere perché stiamo combattendo in Afghanistan, e il motivo per cui questa guerra deve essere vinta.