L’Amalthea verso Gaza. Anche i Gheddafi vogliono la loro “flottilla”

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L’Amalthea verso Gaza. Anche i Gheddafi vogliono la loro “flottilla”

11 Luglio 2010

Sabato scorso la "Amalthea", ribatezzata Hope e battente bandiera moldava, è partita da un porto della Grecia meridionale agli ordini di un capitano di marina cubano. Finanziata dalla Fondazione Gheddafi, la nave è diretta a Gaza per portare oltre 2.000 tonnellate di aiuti umanitari alla popolazione palestinese. L’esempio della Marmara ha fatto scuola. Dopo il sanguinoso assalto dei commando alla nave turca, la comunità internazionale ha condannato in modo unanime lo stato di Israele. Isolato, il premier Netanyahu ha acconsentito ad ammorbidire il blocco di Gaza, "aumentando in modo considerevole il volume delle merci che possono entrare nella Striscia", come spiegava ieri l’ambasciatore dello stato ebraico alle Nazioni Unite. Il risultato è stata la partenza di nuove "flottilla".

Il ministro della Difesa israeliano Barak fa sapere che se la Amalthea dovesse proseguire il suo viaggio, cercando di sbarcare a Gaza, la marina dello stato ebraico interverrà per bloccarla e condurla nel porto di Ashdod, a sud di Tel Aviv. In alternativa, la nave dei libici potrebbe attraccare senza problemi nel porto egiziano di el-Arish. Il deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi ha risposto che l’equipaggio della nave non intende opporre resistenza a un eventuale blitz delle forze speciali israeliane sulla imbarcazione. Dopo l’ispezione, però, alla nave dovrà essere consentito di raggiungere Gaza. I rappresentati della Fondazione Gheddafi che si trovano a bordo, raggiunti con un telefono satellitare, hanno confermato che resta questo il loro obiettivo.

A poco sono servite le pressioni esercitate dal ministro degli esteri Liebermann sulla Grecia e sulla Moldavia, i due Paesi che hanno favorito la partenza della spedizione umanitaria. Israele ha ottenuto vaghe rassicurazioni sulla destinazione del vascello. Gli agenti portuali greci lo hanno ispezionato, dichiarando che i documenti di bordo indicavano come meta finale del viaggio il porto di el-Arish, ma a quel punto è intervenuto di persona Seif al Islam Gheddafi, per dire che "la Amaltea si dirige verso Gaza, come previsto. E’ una missione umaniaria, non provocatoria né ostile". La speranza è che Barak abbia persuaso il capo della intelligence egiziana Suleiman a non innescare una nuova crisi. 

Che la Libia voglia fare bella figura nella gara per la solidarietà verso Gaza è comprensibile. Se i commando dovessero intervenire, e l’equipaggio non facesse resistenza, sarebbe un terno al lotto per la famiglia Gheddafi, ansiosa di legittimarsi come uno degli sponsor della causa palestinese insieme ad Iran e Turchia. Ma tutti coloro che vivono in Palestina e conoscono il regime fascista di Hamas dovrebbero chiedersi perché ai regimi arabi piace tanto giocare sulla pelle degli altri. La ragione è semplice, il consenso interno e quello dentro la "Umma". Solo che adesso per Saif, il delfino del Colonnello, sarà più difficile continuare a presentarsi come un interlocutore affidabile dell’Occidente. Il figlio di Gheddafi avrà pure fatto fare dei passi avanti al suo Paese da quando ha creato la International Foundation for Charity Associations, battendosi per avere una costituzione e per garantire il rispetto dei diritti umani, ma attualmente Tripoli non dà alcun segnale di un cambiamento in senso democratico del regime autoritario al potere.           

Al contrario, nel 2008 la Fondazione ha ottenuto che fossero rilasciati 90 membri del Libyan Islamic Fighting Group (LIFG), la più potente organizzazione radicale che predica il jihad in Libia. Dopo l’11 Settembre, le Nazioni Unite hanno inserito il gruppo tra le organizzazioni affiliate di Al Qaeda. L’ombrello caritatevole dei Gheddafi è servito anche ad altre "operazioni umanitarie". Per esempio fare da tramite nel pagamento di riscatti per la liberazione di cittadini occidentali tenuti prigionieri dagli islamisti. Sempre nel 2008, sembra che la Germania sia riuscita ad assicurarsi il rilascio di alcuni ostaggi in Algeria proprio grazie a un riscatto pagato attraverso il canale aperto dalla Fondazione Gheddafi. Un modo per favorire, indirettamente, il "Gruppo Salafita per la Preghiera e il Combattimento" (GSPC), di base ad Algeri e con una serie di cellule sparse in mezza Europa. Nel 2002 anche il GSPC è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroriste dal Dipartimento di Stato americano. Combatte a fianco di Al Qaeda nel Nordafrica.