L’America cambia e dice no ai matrimoni gay
07 Novembre 2008
Ebbene sì, l’America ha dimostrato di essere pronta per avere un presidente afroamericano. Forse però non abbastanza per i matrimoni gay. Dai referendum collegati alle elezioni presidenziali è emerso che tre dei cinque stati dove, fino a pochi giorni fa, venivano riconosciute tali unioni hanno deciso di fare dietrofront sulle nozze omosessuali.
Non bastava chiedere agli americani di scegliere il nuovo presidente tra un vecchio veterano di guerra e un candidato di colore. Gli elettori hanno anche dovuto decidere l’esito di più di 150 referendum. La California, per esempio, è stata chiamata a votare sulla Proposition 8 che chiedeva di cambiare la definizione statutaria del matrimonio solo come l’unione “tra persone di sesso diverso”. Con il 52,1% dei voti a favore lo stato americano più grande e (finora) più liberal degli Stati Uniti ha annullato la decisione della Corte Suprema che, dal maggio scorso, aveva reso possibili le nozze tra gay.
Il referendum californiano è stato anticipato da una grande campagna che in totale, tra favorevoli e contrari, ha raccolto oltre 74 milioni di dollari (la più costosa della storia statunitense). Ma agli attivisti dei diritti civili non sono bastati 38 milioni di dollari di ricavato e l’appoggio di figure politiche di rilievo, come i due senatori della California o il sindaco di San Francisco, per non far passare la proposta. Neanche il sostegno di multinazionali come Apple, Levi’s e Google, o quello delle celebrità più attraenti di Hollywood – come Brad Pitt, Samuel L. Jackson e Steven Spielberg– è stato abbastanza convincente per i californiani.
Alcuni puntano il dito contro l’aumento della popolazione ispanica fortemente cattolica. Altri annunciano la resurrezione dei valori conservatori. La mobilitazione è finalmente riuscita a riunire in un unico fronte i credenti delle diverse Chiese americane, dai mormoni ai seguaci della Jesus Christ of Latter-day Saints. Altri ancora accusano la comunità afroamericana che, sull’etica sessuale, sono tutt’altro che progressisti. Per di più la campagna presidenziale di Obama non è libera di colpe. Del resto il presidente non l’aveva nascosto: “Sono cristiano e non credo nel matrimonio gay”, ha dichiarato negli scorsi mesi. Anche se aveva aggiunto che si schierava contro ogni discriminazione contro gli omosessuali.
Fatto sta che, in controtendenza rispetto ai risultati di altri referendum, in California, Arizona e Florida non sarà più possibile sposarsi tra persone dello stesso sesso. In Arkansas, dove invece è ancora permesso, le coppie gay non potranno adottare figli. Ma negli altri stati la svolta è stata piuttosto liberal: nel Colorado e nel South Dakota sono stati respinti i tentativi di limitare le interruzioni di gravidanza, nel Michigan sarà permessa la ricerca sulle cellule staminali ed è stato legalizzato l’uso della marijuana a scopi medici, e nello stato di Washington si potrà morire “dolcemente”.
In realtà si tratta di una svolta che va ben al di là del colore politico. Infatti, se l’Arizona è uno stato di provata fede repubblicana, la Florida e la California hanno voltato le spalle a McCain e, accanto al chiaro no alle unioni omosessuali, hanno votato per il candidato afroamericano. Tanto i democratici come i repubblicani, quindi, hanno sostenuto la Proposition 8. “Penso che in uno stato come la California conservatrice, dove Barack Obama cerca di vincere con un grande margine, si imporrà con più forza il valore del matrimonio eterosessuale”, aveva previsto prima delle elezioni Jeff Flint, responsabile della campagna per l’abolizione del matrimonio gay. Un presagio, visto che nello stato della West coast il neopresidente ha vinto con il 61% dei voti.
La modifica costituzionale non tocca le unioni di fatto degli omosessuali che restano riconosciute come “domestic partnerships” o coppie di fatto. Ma il mancato riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso mette in crisi lo status delle più di 18 mila coppie che hanno ufficializzato il loro rapporto negli ultimi sei mesi. Per gli attivisti dei diritti civili il timore più grande è quello dell’effetto domino che potrebbe spingere anche il Massachusetts e il Connecticut – dove le nozze gay sono ancora legali – a seguire l’esempio di uno stato chiave come la California.
C’è da domandarsi, quindi, se il pentimento degli americani sia il sintomo di una mal digerita e troppo affrettata riforma progressista. Proprio ora che sono riusciti a superare le barriere ideologiche del razzismo, il ritorno all’idea tradizionale del matrimonio rappresenta la vera svolta: restituire il matrimonio alle coppie eterosessuali e riconoscere le unioni civili per i gay.
In fin dei conti, è una scelta in armonia con la maggior parte dei paesi che hanno adottato una misura in materia. Oggi, solo sei paesi riconoscono le nozze omosex mentre una trentina accettano le coppie di fatto e in altrettante si dibatte su quest’ultimo sistema. Proprio quello che veniva chiesto al nuovo presidente: l’America deve cambiare, mettendosi in discussione e imparando dai propri errori. E forse, questa volta, gli americani hanno davvero imparato la lezione.