L’America non deve rinunciare al suo primato nella “Guerra dei cieli”

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L’America non deve rinunciare al suo primato nella “Guerra dei cieli”

02 Aprile 2010

La potenza aerea ha avuto una brutta reputazione da quando un sondaggio sulla “U.S. Strategic Bombing” ha messo in dubbio l’efficacia dei bombardamenti aerei nella Seconda Guerra mondiale, e soprattutto dopo la sconfitta della Guerra in Vietnam. Oggi, uccidere i nemici dal cielo è generalmente considerato inutile, mentre la repressione delle insurrezioni attraverso la strategia opposta, cioè il concetto del “nation-building”, è la politica ufficiale del governo americano. Ma non è ancora giunto il momento di rottamare i nostri aerei. Il potenziale dell’aereonautica ha ancora molto da offrire, persino in un mondo dove proliferano le insorgenze.

L’aviazione militare ebbe uno splendido inizio nel 1911, quando gli italiani fecero da pionieri con i bombardamenti sulla Libia. Da allora però questo sistema è stato spesso una grossa delusione, principalmente perché le due più importanti condizioni che portarono al successo nel 1911 attualmente sono assenti: la sterilità del deserto libico, una situazione che permetteva ai piloti di vedere gli obiettivi con estrema chiarezza, e la totale assenza di una capacità aerea nemica o di armi antiaeree che avrebbero potuto interferire con i loro attacchi.

Le regole applicate nel 1911 si sono dimostrate valide in tutte le guerre accadute sin da allora. I bombardamenti aerei funzionano molto bene ma solo se il nemico si muove all’aperto, in un terreno arido e non ha forze aeree o armi antiaeree efficaci. Nella Seconda Guerra mondiale, tali condizioni non si sono realmente verificate se non proprio negli ultimi anni. Il terreno in Vietnam, poi, era pieno di alberi e di uomini coraggiosi: di conseguenza, i bombardamenti tattici nel Sud fallirono mentre ci fu una forte resistenza a quelli strategici nel Nord. In ogni caso, in Vietnam c’erano comunque pochi buoni obiettivi.

Ma le supposte lezioni del Vietnam sono state chiaramente stra-imparate. Nel 2006, mentre le Forze Aeree israeliane stavano abbattendo i loro obiettivi in Libano,  gli esperti di vario genere erano praticamente d’accordo nell’affermare che la campagna militare sarebbe fallita. Mentre i ribelli di Hezbollah giorno dopo giorno continuavano a lanciare missili sul territorio israeliano, l’opinione generale che annunciava il fallimento sembrava trovare una conferma. Per i suoi bombardamenti Israele stava pagando un prezzo politico molto alto, perché le televisioni e i fotografi che si trovavano in Libano continuavano ad alimentare i media internazionali con le immagini di bambini morti – o, nel migliore dei casi, di bambole fracassate – mentre invece venivano nascoste le fotografie della distruzione degli armamenti e dei quartieri generali di Hezbollah. In ogni caso, gli obiettivi israeliani iniziavano a scarseggiare: in Libano restavano solo tantissimi ponti e viadotti. Persino gli stessi Paesi amici di Israele sembravano concordare, con rammarico, sul fatto che Israele sembrava sul punto di veder fallire la missione.

Ma in seguito la realtà si è dimostrata ben diversa. Subito dopo la guerra, il leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, ammise che, se avesse saputo che Israele si sarebbe vendicato con effetti tanto devastanti, non avrebbe mai ordinato quell’attacco mortale contro la pattuglia di frontiera dello stato ebraico. Prima della guerra del 2006, gli Hezbollah lanciavano i missili nella parte settentrionale d’Israele solo quando volevano aumentare la tensione tra i due Paesi. Dal 14 agosto di quell’anno, però, l’Hezbollah ha rigorosamente cominciato a frenare gli attacchi. Non appena vengono lanciati dei razzi, il portavoce di Nasrallah s’affretta puntualmente ad annunciare che Hezbollah non ha nulla a che fare con l’attacco. Evidentemente, quello che in teoria era un futile bombardamento ha, in realtà, raggiunto il suo obiettivo.

Neanche tre anni dopo, durante la sistematica campagna di bombardamenti aerei nella guerra di Gaza, le stesse persone che nutrivano dubbi sull’uso dell’aviazione militare hanno ripetuto questo genere di affermazioni, solo per essere nuovamente smentiti. Come è accaduto nel 2006, molti civili sono stati uccisi o feriti durante i bombardamenti a Gaza, e non solo perché erano lì per caso. I leader di Hamas, infatti, si sono dati da fare per incrementare il numero delle vittime civili tra la loro gente lanciando missili dai cortili degli appartamenti per provocare il fuoco d’artiglieria nemico e per poter aumentare, di conseguenza, il costo politico della guerra per lo stato d’Israele.

Questi costi sono stati reali. E i 1.300 civili palestinesi uccisi spiegano perché le incursioni aeree non devono mai essere definite “chirurgiche”. Quando, però, ci sono le condizioni affinché le regole del 1911 vengano  applicate, questo genere di tattiche possono ottenere, come minimo, dei risultati concreti: nel 2008, infatti, 3.278 proiettili e 1.553 razzi lanciati da Gaza sono finiti in territorio israeliano. L’anno scorso, la somma totale è diminuita fino a 248 ordigni, facendo del 2009 l’anno più pacifico che Israele abbia vissuto negli ultimi anni, senza nessun attacco suicida e con 15 vittime israeliane uccise in altri tipi di attacchi da parte dei palestinesi.

E che dire sull’Afghanistan? In quello scenario valgono le regole del 1911? Secondo l’opinione generale degli esperti sembra che la risposta sia “no”. Eppure i talebani, pur con tutte le loro virtù marziali, sono lontani secoli dall’avere una forza aerea capace di contrastare i bombardieri americani – perché volano troppo in alto per essere abbattuti con armi antiaeree che vengono ancora sparate a mano – e anche perché, per muoversi da una valle all’altra in uno dei Paesi più montagnosi, i combattenti talebani devono attraversare terreni aperti e aridi.

Siccome gli Usa hanno così spesso sopravvalutato il potere aereo nel passato, ora stanno ignorando il suo potenziale strategico e lo utilizzano solo tatticamente per dare la caccia a degli individui con i droni e per dare sostegno alle operazioni di terra principalmente con gli elicotteri, proprio i mezzi che possono essere abbattuti con più facilità dai talebani. Comprensibilmente preoccupato per le gravi conseguenze politiche in seguito agli errori dei bombardamenti poi apertamente condannati sia in Afghanistan che all’estero, il comandante Stanley McChrystal ha fatto sapere che la forza aerea deve essere utilizzata come ultima soluzione. Come si legge nel “Field Manual 3-24” – oramai diventato un testo quasi sacrosanto – il generale, infatti, vuole sconfiggere i talebani proteggendo i civili afghani, offrendo loro i servizi essenziali, promuovendo lo sviluppo economico e assicurando una buona gestione del governo. Visto le caratteristiche dell’Afghanistan e di coloro che lo governano, questa meritevole impresa potrebbe richiedere un secolo o forse due. Allo stesso tempo, i metodi di fare la guerra descritti nel FM 3-24 sono tutto tranne che economici: il presidente Barack Obama, infatti, per sconfiggere i circa 25mila talebani a tempo pieno, attualmente dovrebbe raddoppiare il numero delle truppe americane inviando altri 30mila uomini, con una spesa media di 1 milione di dollari all’anno per soldato.

L’alternativa migliore e più economica potrebbe essere quella di far resuscitare i bombardamenti strategici in un nuovo (e più accurato) modo di far la guerra, armando fino ai denti i numerosi nemici dei talebani e rimpiazzando le truppe americane in Afghanistan con delle sporadiche incursioni aeree. In tal modo, ogni volta che i talebani si concentrassero in gruppo per attaccare, verrebbero bombardati. Si tratta della soluzione più imperfetta ma metterebbe fine alla costosa futilità del “nation-building” in una terra remota e poco accogliente. Dopo aver provato qualsiasi altra soluzione, forse Obama ce la farà ad arrivarci.

Tratto da Foreign Policy

Traduzione di Fabrizia B. Maggi