Lampi di ripresa per Italia e Francia. Nuovo piano di stimoli per gli Usa
15 Luglio 2009
Con la presentazione del Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef), aumentano gli interrogativi in merito alla ripresa dell’economia. La visione delle organizzazioni internazionali è concorde sulle stime: si stanno verificando dei piccoli movimenti in positivo di alcuni indicatori economici secondari, ma prima di parlare di ripresa sostenuta, bisogna essere cauti.
A dare fiducia al sistema italiano ci ha pensato l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), tramite il leading indicator composito (Cli), l’indice che anticipa la tendenza del ciclo economico. Secondo l’Ocse «l’indice Cli per maggio 2009 indica segnali tangibili di miglioramento del quadro nella maggior parte dei paesi Ocse», con «segnali di potenziale ripresa che stanno emergendo in Italia e in Francia». Cauto il quadro per gli altri paesi: «Ci sono indicazioni di punto di minimo in Canada, Regno Unito, Usa, Cina e India» continua l’istituto di Parigi. Negativo il giudizio per la Russia, dove «i segnali di punto di minimo sono più incerti», soprattutto a causa dell’instabilità che sta vivendo il mercato finanziario di Mosca. Nello specifico, la nota dell’Osce afferma che «il Cli per l’area dei paesi aderenti all’organizzazione a maggio è salito a 94 punti dai 93,2 di aprile, ma presenta ancora 7,3 punti inferiori a un anno prima». Questo perché la crisi nata dal crollo del mercato immobiliare statunitense non ha ancora fatto emergere tutta la reale esposizione delle banche coinvolte coi mutui subprime. E a tal fattore si devono unire altri due fenomeni che hanno afflitto l’economia globale. La crisi è nata nel 2007 dal settore degli immobili e come tutte i precedenti casi si è trasferita al mondo bancario, alimentando a dismisura il credit crunch nei confronti delle imprese, che si sono ritrovate senza margini operativi. Proprio questa è la fase in cui ci troviamo, data l’oggettiva difficoltà dei nostri settori produttivi a far riprendere slancio all’attività economica. La conseguenza è che si finisce per entrare nella quarta fase, quella in cui è lo Stato a patire più di tutto, tramite una crescita senza controllo della spesa pubblica. I dati diramati ieri dal ministero dell’Economia durante la presentazione del Dpef sono emblematici: Pil -5,2 per cento, rapporto deficit/Pil 5,3 per cento. Ad essi vanno aggiunti i numeri che ha espresso Banca d’Italia in merito al debito pubblico italiano record di maggio, 1.752,188 miliardi di euro. La crescita dell’indebitamento pubblico è aumentata di 89,6 miliardi di euro, il 5,4 per cento su base annua, un dato che impedisce una corretta programmazione di sostegno alla ripresa economica.
Ma se pensiamo agli Stati Uniti, il quadro non migliora. Il Congresso sta discutendo la possibilità di attivare un nuovo piano di stimoli, dopo che quello promosso dal presidente Barack Obama non ha sortito gli effetti sperati. Non sono bastati oltre 787 miliardi di dollari, spiega Laura Tyson, membro dell’«Economic Recovery Advisory» della Casa Bianca. La Tyson ha spiegato che «787 miliardi di dollari sono troppo pochi per avere un effetto positivo sull’economia» e tal visione è supportata dal consulente economico di Obama, Larry Summers, che è stato quasi drammatico: «Il peggio non è finito, è possibile che perderemo altri posti di lavoro e non deve sorprendere che il Pil non abbia ancora toccato il fondo». A pesare ci sono le crisi del mercato occupazionale, con un tasso di disoccupazione ormai al 9,5 per cento, e la costante sfiducia delle piazze finanziarie, con Wall Street che sembra non aver recepito positivamente il piano Obama. E non deve sorprendere la performance negativa del titolo Goldman Sachs, unica banca del Gotha finanziario ad aver realizzato utili record, 3,44 miliardi di dollari nel secondo trimestre dell’anno. Gli operatori economici sono completamente senza fiducia nei confronti del mercato e stanno cercando di allocare le proprie risorse in investimenti magari meno redditizi, ma più sicuri.
Negli Usa come in Italia si sta cercando di infondere fiducia e ridare credito, fiscalmente da una parte e dialetticamente dall’altra, per una ripresa che sembra essere ancora lontana. Nonostante il ministro dell’Economia Giulio Tremonti affermi che «negli ultimi tre mesi si sono ripetuti segnali non negativi, per l’economia mondiale e per quella italiana», la realtà sembra essere troppo volatile per essere interpretata con certezza.