L’analfabetismo costituzionale del governo

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L’analfabetismo costituzionale del governo

04 Maggio 2007

Il “caso Vaccarella” si aggrava. In una lettera al Presidente, il giudice costituzionale ha confermato le sue dimissioni, nonostante la Corte abbia l’altro ieri deliberato all’unanimità di non accettarle, invitandolo a restare al suo posto. Evidentemente, non sono bastate al giudice le parole con cui la Corte ha, almeno in parte, condiviso le sue preoccupazioni, ribadendo la necessità che la politica eviti comportamenti denigratori della Corte e rispetti il suo ruolo di garanzia costituzionale.

C’era in effetti, nella delibera della Corte del 3 maggio, qualche precisazione circa interventi che Prodi aveva svolto già in data 29 aprile (cioè il giorno prima della presentazione delle dimissioni) sulla necessità del rispetto del ruolo istituzionale della Corte e della sua totale indipendenza e autonomia: come se già questo solo dettaglio dovesse indurre Vaccarella a ripensarci. Ma il giudice, nella lettera, sottolinea puntigliosamente come quelle dichiarazioni gli fossero apparse “generiche e rituali”, per nulla sufficienti a fugare i suoi dubbi. 

Quale bilancio ricavare da questa vicenda? Chi ama le istituzioni costituzionali e legge la lettera di Vaccarella non può non provare un senso di amarezza e di grave preoccupazione.

Intanto, se già ora è questo il clima intorno al referendum elettorale – e intorno all’istituzione che a gennaio del 2008 ne dovrà decidere l’ammissibilità, una volta completata la raccolta delle firme – c’è poco da stare allegri.

Poi, i fatti mostrano un desolante smarrimento di qualunque seria logica istituzionale da parte del Governo. Per mesi abbiamo letto varie chiacchiere in libertà di vari ministri, sugli argomenti più vari (dalla politica estera all’economia, da ultimo sulla vicenda Telecom). E abbiamo potuto constatare come queste chiacchiere abbiano di molto appannato la credibilità del Governo, e dello stesso Paese, sulla scena internazionale. Questa volta, le chiacchiere hanno prodotto danni piuttosto seri proprio su una questione istituzionalmente e costituzionalmente assai delicata. Altro che portavoce unico del Governo, verrebbe da dire: il Governo Prodi dovrebbe fare un corso accelerato di “disciplina coalizionale”, tanto più quando si tratta di rapporti con le istituzioni di garanzia come la Corte. Quale sia il danno serio è presto detto: nessuno dubita che la Corte, quando sarà il momento, deciderà in totale autonomia, ma è difficile pensare che questa vicenda non lasci un segno pesante, intaccando almeno un poco la serenità dei giudici.

Ancora: abbiamo ascoltato per anni lezioni di esperti col ditino alzato che accusavano il Governo Berlusconi di analfabetismo costituzionale. Ebbene, non pare che l’attuale Governo si comporti meglio: un minimo di cultura costituzionale doveva infatti insegnare che se il Governo ha qualcosa da dire sull’ammissibilità dei quesiti referendari, lo può fare intervenendo formalmente nel giudizio di ammissibilità di fronte alla Corte, tramite il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Non è una pratica frequente, perché anzi in materia di referendum – e soprattutto di referendum elettorali – c’è una tradizione di neutralità governativa, che forse sarebbe comunque bene rispettare anche in questo caso, per varie ragioni: non ultima quella della presenza, tra i firmatari del referendum, proprio di alcuni ministri del Governo Prodi.

In ogni caso, se proprio il Governo volesse opporsi al referendum, lo potrebbe fare non con le pressioni o le dichiarazioni alla stampa, ma in quella sede formale, perché lo prevede espressamente la legge. Da ultimo, questa pratica è stata utilizzata dal Governo Berlusconi, che intervenne di fronte alla Corte per sostenere l’inammissibilità dei referendum sulla legge sulla procreazione assistita.

Qui, invece, si assiste a un caravanserraglio di dichiarazioni e di smentite che forniscono un ben misero spettacolo.

Nella lettera in cui conferma le dimissioni, il giudice Vaccarella ci consegna amare riflessioni sulla cultura istituzionale di una classe politica che ritiene incomprensibili o inconcepibili dimissioni date a tutela di un Organo costituzionale (oltre che della propria dignità personale) e preferisce dedicarsi a costruire dietrologie, a svelare tesi complottarde, a rilevare strane tempistiche. Si è distinto in questa attività il senatore Passigli in una lettera aperta al giudice Vaccarella pubblicata sul Riformista, la cui velenosità non avrà probabilmente mancato di influenzare la decisione del giudice.

Resta solo da sperare che l’auspicio con la quale la lettera di Vaccarella si conclude – che questa vicenda giovi all’indipendenza della Corte – possa tradursi in realtà. Per quel che la vicenda ha svelato, e per il modo in cui si conclude, tuttavia, ogni ottimismo pare davvero fuori luogo.