L’annessione della Turchia ma all’Europa del calcio

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L’annessione della Turchia ma all’Europa del calcio

26 Ottobre 2007

La
qualificazione della Turchia ai prossimi Europei di calcio (Austria-Svizzera 2008) dipenderà dal risultato
della partita contro la Norvegia, in programma nello stesso giorno di
Scozia-Italia, l’ormai fatidico 17 novembre. La qualificazione della Turchia
come “Stato membro dell’Unione Europea” dipenderà invece da tutt’altri fattori,
in particolare politico-istituzionali ed economici, senza tralasciare la
questione generale del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali,
sollevata dagli stessi organismi comunitari.

A differenza della nazione di
Tayyip Erdogan, la nazionale di Fatih Terim gioca d’anticipo: dalla sua ha già
le carte in regola anche dal punto di vista tecnico, e sul suo passato più o
meno recente non gravano le ammonizioni, espulsioni o minacce di squalifica
dalla partita continentale, comminate invece alla madre patria. Perché la
geopolitica del football – e più in generale dello sport europeo – è poi figlia
di processi storici sui generis, certo molto recenti, e alle volte
sorprendentemente autonomi rispetto al contesto generale che li circonda, in
particolare per quanto attiene alla trama delle relazioni internazionali. Così
che l’undici di Istanbul ha sempre partecipato ai Campionati europei di calcio,
fin dalla loro prima edizione (Francia 1960). Del resto la stessa Coppa dei
campioni per club, ancora qualche anno prima, aveva visto impegnato da subito
il Galatasaray, polisportiva della vecchia Costantinopoli fondata da immigrati
inglesi a inizio secolo.

La storica annessione della Turchia all’Europa
sportiva è poi documentata da annali e albi d’oro relativi ad altre discipline,
diffuse su tutto il continente. Per esempio il volley e il basket, afferrando
di rimbalzo la portata sociale del repentino allargamento ad est della
pallacanestro europea, sport forte di un legame antico con le tre repubbliche
baltiche Lituania, Lettonia ed Estonia. S’intende che caso per caso, di anno in
anno, si è quindi proceduto a cancellare e a disegnare nuovi confini sui fronti
orientali e mediterranei, a discrezione delle varie federazioni europee
competenti, secondo la convenienza di un’operazione in primo luogo
economico-commerciale; e secondariamente – va da sé – strategico-diplomatica,
vuoi per iniziativa della nazionale che si sente esclusa, vuoi per invito
formulato dal resto del continente a un concorrente in più, da far scendere in
campo nell’arena europea. Ma se il gioco si fa duro e le durezze della politica
cominciano a giocare, stabilendo chi fa parte e chi non fa parte dell’Europa
sportiva: perché sì alla Turchia nella Ue, e Israele invece no? Solo perché il
Beitar Gerusalemme non si è qualificato per la fase a gironi della Champions
League, nell’agosto scorso? Quanti titoli continentali dovranno aggiudicarsi
ancora, i cestisti penta-campioni del Maccabi Tel Aviv, prima di continuare sì a
calcare i parquet di mezza Europa, ma finalmente da cittadini europei?