L’antiamericanismo di Gheddafi ha contagiato tutta l’Africa

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

L’antiamericanismo di Gheddafi ha contagiato tutta l’Africa

07 Maggio 2010

Durante una recente teleconferenza organizzata dal World Affairs Councils of America, il leader libico, colonnello Muammar Gheddafi si è vivamente congratulato con il popolo americano per aver eletto alla carica di capo di stato “nostro figlio, Barack Obama, un africano”. Ha aggiunto che il mondo islamico ha accolto con grande entusiasmo e soddisfazione la sua elezione perché Obama non solo è un figlio d’Africa, ma appartiene a una famiglia di religione musulmana e forse persino di origine araba.

Che il presidente degli Stati Uniti quasi non abbia ricordo del padre kenyano (e forse di origine araba) e che islam, cultura araba e Kenya abbiano contribuito assai poco alla costruzione della sua personalità e della sua identità, formatesi secondo valori e grazie a risorse occidentali, non impedisce agli africani di pavoneggiarsi e di considerare la sua vittoria il clamoroso riscatto di un continente costretto ai margini del mondo moderno e civile: in Kenya il giorno della vittoria di Obama è stato dichiarato festa nazionale e il 4 maggio alla sua nonna paterna, Sarah Obama, 87 anni, è stata conferita una laurea honoris causa dall’Università dei Grandi Laghi.

Creare consenso popolare suscitando fierezza e orgoglio di razza è la specialità dei leader africani così come rafforzare il senso di appartenenza instillando ostilità, diffidenza e disprezzo verso gli estranei. Le minoranze di origine straniera – di solito gli asiatici di ceto medio (indiani, libanesi, pachistani…) – ne fanno le spese, ma l’oggetto universale e primario di avversione è l’Occidente.

La propaganda antioccidentale è facilitata dalla scarsità dei mezzi di comunicazione e d’informazione e da condizioni di vita che esauriscono le energie della maggior parte degli africani nell’assillo quotidiano di sopravvivere, isolandoli dal resto del mondo tanto da ignorare spesso che cosa c’è e che cosa succede oltre il confine del villaggio o del quartiere urbano in cui trascorrono l’esistenza.

Uno dei cavalli di battaglia di Muammar Gheddafi è affermare che Coca Cola e Pepsi Cola sono bevande africane. Memorabili sono le sue veementi e bellicose dichiarazioni urlate durante i discorsi pronunciati nelle piazze delle capitali africane che mandano in delirio il pubblico: “La cola è africana, ‘loro’ ce la portano via per quattro soldi e poi ci vendono Coca Cola e Pepsi a caro prezzo. Ribelliamoci, fabbrichiamo noi Coca Cola e Pepsi e poi vendiamogliele care!”

‘Loro’ sono gli americani e gli europei. La funzione essenziale di simili esternazioni è chiara: salvarsi, incolpando gli Stati Uniti, l’Europa e le comunità straniere residenti, dal risentimento e dall’esasperazione per la povertà generale, e per tutte le infinite sofferenze che ne derivano, di cui la corruzione e il malgoverno delle leadership autoctone sono i principali responsabili.

Si pretende che l’avido Occidente viva di rapina, derubando gli africani delle loro ricchezze e rendendoli sempre più poveri. In più, si dice, provoca il riscaldamento globale con le sue industrie, mangia bistecche che prosciugano le risorse idriche del pianeta al ritmo di 15.000 litri ogni chilogrammo lasciando senza acqua il resto del mondo, consuma tonnellate di gelati invece di sfamare i bambini poveri, il tutto dopo aver interrotto secoli fa lo sviluppo del continente con la tratta degli schiavi e con la colonizzazione.

Chi ascolta per lo più nulla sa dei miliardi di euro che ogni anno, invece di finire nelle casse degli stati africani (quasi tutti straordinariamente ricchi di risorse naturali), prendono la via dei conti privati all’estero dei loro leader: secondo un recente studio svolto dal Global Financial Integrity, un istituto di ricerca americano, 1.300 miliardi di euro, con un incremento annuo del 12%, è l’ammontare dei capitali usciti illegalmente dal continente dal 1970 al 2008, una risorsa formidabile di sviluppo perduta. Né basta a compensare il danno l’altrettanto astronomico flusso di denaro verso l’Africa dai paesi industrializzati, sotto forma di aiuti umanitari e di cooperazione allo sviluppo: voci autorevoli, finalmente ascoltate dopo i decenni di isolamento dell’epoca del terzomondismo imperante, dimostrano che in gran parte vanno anch’essi irresponsabilmente sprecati.