“L’antiterrorismo funziona, ma attenti ai Balcani”
02 Luglio 2015
Ieri la Digos di Milano ha emesso dieci ordini di arresto per terrorismo tra Italia e Albania. Tra le persone finite in manette c’è la famiglia, genitori e sorella, di Fatima, al secolo Maria Giulia Sergio, la donna 28enne che dopo essersi convertita all’islam oggi si troverebbe in Siria col marito, combattente jihadista. Sempre ieri, durante un’altra operazione dei Ros, sono stati fermati dei marocchini accusati di ‘formare’ jihadisti fai- da-te sul web. Dei successi delle nostre forze dell’ordine e della risposta data dallo Stato alle minacce di matrice fondamentalista parliamo con il senatore Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir.
Senatore, dopo le operazioni di ieri tra Roma e Milano possiamo dirlo: il Dl Antiterrorismo funziona.
Sì, fino a questo momento la nuova legge ha portato dei risultati importanti. Oltre alle operazioni di ieri ricorderà anche le indagini svolte dal questore di Brescia pochi mesi fa. La forza del decreto sta nella sua duttilità: passa attraverso le informative che riguardano web, intercettazioni, e anche alcune garanzie funzionali; permette agli investigatori e all’autorità giudiziaria di lavorare su specifici capi di accusa come il nuovo reato di proselitismo, che abbiamo introdotto con il decreto.
Nel caso di Fatima e della sua famiglia come ha funzionato il reclutamento?
L’indottrinamento avviene a mezzo web e tramite informazione personale. Partiamo dal fatto che alcune delle persone arrestate sono cittadini italiani convertiti all’islam, e fin qui nessun problema, ma quando costoro entrano in contatto con l’attuale marito di Fatima si trovano davanti un jihadista (il 23enne albanese Aldo Kobuzi, ndr.) e sarebbe stato lui a spingere gli altri verso il fondamentalismo. Si tratta di un fenomeno che funziona, come dire, per “conduzione termica”…
Prego?
Voglio dire che gli italiani arrestati non vengono da una “scuola jihadista”, da moschee dove si predica la Jihad, da un milieu dove gli siano state instillate idee del genere. Ecco perché parlo di indottrinamento e reclutamento per “conduzione”, che avviene cioè per una vicinanza al jihadismo.
Qual è il ritratto tipico del ‘jihadista da tastiera’?
Mischia Allah con Instagram. In un’epoca nella quale tutti i valori consolidati sembrano sgretolarsi, anche quelli più infami, criminali e malvagi rischiano di essere presi a modello. Parliamo di soggetti debolissimi da un punto di vista psicologico che si sentono forti anche solo postando la loro bandierina dell’Isis su Facebook o facendosi un selfie con dietro il logo del Califfato. In questo modo credono di sentirsi parte di qualcosa più grande di loro, qualcosa che sembra rompere tutti gli schemi.
Una specie di setta?
Mi passi il paragone, ma è come quando negli anni Settanta qualcuno s’imbottiva di LSD nell’illusione di sentirsi diverso e controcorrente.
Negli anni settanta certa gauche offriva anche una copertura intellettuale al terrorismo.
In linea di massima e guardando all’orizzonte occidentale direi che oggi non siamo davanti a un rischio del genere, anche se non bisogna mai generalizzare e potrebbero anche verificarsi casi isolati. Parlerei più di sacche – dai ‘lupi solitari’ alle ‘cellule solitarie’ – che però non hanno una copertura intellettuale, come la definisce lei. Pensi che nell’ottanta per cento dei casi sono gli stessi genitori a segnalare i giovani che si stanno radicalizzando.
Al di là del web dove sono i rischi maggiori?
Il rischio è alto nei Paesi balcanici e nel mondo slavo. La Jihad passa molto di più su quelle rotte dove trova coperture più ‘tradizionali’.
Ma il pericolo non veniva dai barconi che solcano il Mediterraneo?
Meno di un quarto dei migranti che arrivano in Europa lo fanno con i barconi. Se restiamo ai Balcani, su quella direttrice passano all’incirca 350 mila migranti ogni anno, con un controllo molto inferiore a quello che viene svolto in mare. Pensi all’Ungheria, dove nei primi cinque mesi di quest’anno sono entrate 70 mila persone, non so se è chiaro. Personalmente lo sto ripetendo da almeno un anno: guardiamo ai Balcani.
E alla Turchia?
Certo, ma sarebbe un discorso molto più ampio.