L’Antitrust vuole vederci chiaro sulla raccolta pubblicitaria di Google
11 Marzo 2010
In Italia sembra non esserci pace per Google. Neanche il tempo di godere dei fasti e del riscontro mediatico derivante dall’accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali che il gigante di Mountain View si è trovato di nuovo nell’occhio del ciclone e sotto indagine da parte dell’Antitrust.
L’Autorità per la concorrenza ha deciso di estendere l’istruttoria per possibile abuso di posizione dominante, avviata l’estate scorsa, riguardante le condizioni imposte agli editori italiani dei siti web nei contratti di intermediazione per la raccolta pubblicitaria on-line. Secondo l’Antitrust, Google “determinerebbe i corrispettivi degli spazi pubblicitari venduti attraverso la sua rete a sua assoluta discrezione e senza spiegare come vengono calcolati”. Sotto inchiesta, in particolare, la rete AdSense, un programma di affiliazione attraverso il quale i proprietari di siti internet possono vendere spazi pubblicitari utilizzando Google come intermediario.
In sostanza il contratto di AdSense (stipulato di fatto con la società Google Ireland Limited, alla quale l’Antitrust ha esteso l’istruttoria) prevede che l’editore riceva come corrispettivo una somma di denaro che rappresenta una quota dei ricavi realizzati da Google per gli annunci pubblicitari visualizzati sulle proprietà dell’editore. La percentuale di revenue-sharing che spetta ad essi però è definita senza che la casa della grande G fornisca alle società elementi utili a verificare i modi in cui si è giunti a conteggiare la cifra.
“Benchè siamo contrariati per questa decisione, continueremo a collaborare costruttivamente con l’Autorità, nella convinzione che le nostre attività rispettino le normative in vigore sulla competizione nel mercato”. È quanto si legge in una nota di Google, dopo la decisione dell’Antitrust. Forse ai ‘guglocrati’ è un po’ sfuggito il quadro d’insieme, impegnati come sono a gestire i mille accordi degli ultimi giorni: Galileo e le piste ciclabili, Keplero e le spiagge pulite.
Il più pubblicizzato fra questi accordi è senza dubbio quello con il ministero dei Beni culturali, legato al progetto “Google Books”. Circa un milione di libri conservati nelle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze – e non coperti da copyright perchè pubblicati prima del 1868 – saranno messi a disposizione di tutto il mondo. Grazie ad un accordo “che apre una strada nuova per la cultura italiana – afferma il ministro della Cultura Sandro Bondi – stiamo cercando di unire la cultura con l’impresa e l’esperienza e l’organizzazione manageriale insieme alle nuove tecnologie” per realizzare “quello che è sempre stato l’obiettivo dell’umanità, la ‘Biblioteca Universale’ ”.
In pratica le opere di intellettuali, scrittori e scienziati italiani, una volta digitalizzate, saranno lontane solo un clic dalla lettura, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi. L’operazione nel suo complesso si concluderà nei prossimi 2 anni, tempo necessario alla catalogazione e digitalizzazione dei volumi, che saranno quindi messi online. Il costo dell’iniziativa sarà totalmente a carico di Google che allestirà uno “scanning center” all’interno delle 2 biblioteche, a fine di evitare l’uscita dei libri dalle sedi.
Interessante il futuro catalogo. Tra le opere che la Biblioteca Nazionale di Firenze inserirà nel progetto ci sono rari scritti scientifici del XVIII Secolo e dell’Illuminismo, opere letterarie del XIX Secolo e litografie. Dalla Biblioteca Nazionale di Roma invece, rare prime edizioni di opere del XIX Secolo; opere di Giambattista Vico, Keplero e Galileo Galilei; erbari e Farmacopee del XIX Secolo. Di Dante Alighieri saranno inserite le varie edizioni della Divina Commedia ma anche tanti romanzi della cultura popolare risorgimentale. Alle due biblioteche, secondo la direttrice Fontana, si affiancheranno probabilmente anche quella di Napoli e di Venezia.
L’annuncio si inserisce in un quadro mondiale in cui già una trentina di biblioteche nazionali e universitarie si sono accordate con la casa della grande G. Le biblioteche universitarie di Oxford e Harvard, cui si sono unite quelle di Stanford e dell’università del Michigan sono state le apripista, oltre alla New York Public Library. Di seguito hanno aderito al progetto la Biblioteca Nazionale Catalana, la Biblioteca pubblica bavarese nonché la biblioteca nazionale francese. Ma il dominatore della rete non si è fermato qui.
Di tutt’altro tenore la nuova funzione di Google Maps che riguarda le piste ciclabili. La creatura di Page e Brin ha lanciato, per ora in 150 città degli Stati Uniti, una nuova applicazione che consente agli amanti della bicicletta di selezionare questo mezzo di trasporto quando si pianifica un percorso. L’opzione tra l’altro permetterebbe ai ciclisti di evitare forti pendenze o strade intasate dal traffico.
I maghi del web però si sono spinti oltre, dalle bici alle spiagge. Per i “tuffi puliti” del 2010 arriva il “Portale acque” del ministero della Salute che, da maggio, darà disco rosso o verde per la balneazione nei mari italici. Tecnicamente, il portale utilizzerà Google maps e cliccando sulla regione desiderata e quindi sulla località si potranno conoscere le analisi, i valori ma soprattutto si individuerà se quelle acque sono “eccellenti”, “buone”, “sufficienti” o “scarse”. Il tutto in tempo reale e in collegamento con le Agenzie regionali per la protezione dell’Ambiente (Arpa) che inseriranno i risultati del monitoraggio e modificheranno la cartografia, se necessario.
Google e Dish Network (il 2° operatore televisivo satellitare americano) stanno poi lavorando a un servizio di ricerca dei programmi televisivi. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il servizio – ancora in fase di test – è pensato solo per alcuni dispositivi con decoder tv basati su Android e servirà agli utenti di ricercare contenuti su Dish e altri siti come YouTube per creare una programmazione personalizzata. L’obiettivo di Google sarebbe quello di legare il nuovo servizio agli annunci pubblicitari in tv in modo da poterli indirizzare a singoli dispositivi in base ai dati dell’utente e quindi offrire spot sempre più mirati e personalizzati. Proprio da qui iniziano i punti dolenti.
Nel settore televisivo Google ha già mosso i primi passi nel 2008, quando la sua piattaforma AdWords lanciò un servizio chiamato Google TV Ads, con cui poter acquistare spazi tv. Scopo principe dell’applicazione, allora come oggi, la pubblicità. Nessuna delle novità presentate finora è al sicuro da questa spada di Damocle. Anche per quanto riguarda l’accordo sui “tuffi” c’è da notare come l’Italia possieda quasi il 34% di tutti i siti di balneazione, in termini numerici una buona percentuale. Può voler dire che stringendo l’accordo con il nostro paese la casa di Mountain view si sia accaparrata un numero elevatissimo di clic, da convertire in ritorni monetari.
Non mancano anche le polemiche contro l’accordo di digitalizzazione dei libri. In campo Microsoft, Yahoo! e Amazon che hanno dato vita ad una coalizione – insieme all’Internet Archive – che da tempo lavora alla realizzazione di una libreria libera di contenuti internet per le opere cosiddette orfane chiamata Open Book Alliance sul suolo Usa. A dar manforte a chi è contrario all’esportazione in Europa del modello degli Stati Uniti anche la Federazione degli editori europei, che insieme alla commissione Ue ha dato vita nei mesi scorsi ad una serie di audizioni per valutare la possibilità di mettere a punto norme consone alle esigenze dell’era digitale.
Citando un detto popolare: non è tutto oro quel che luccica. A fronte di nuove funzionalità, nuove promesse e di un futuro sempre più luminoso incombe su Google più di qualche ombra. Ben rappresentata, come sempre, dalle beghe legali come l’istruttoria dell’antitrust o la condanna del mese scorso comminata ai 3 dirigenti per la diffusione del video sul disabile. Ma l’ombra più grande è un’altra, ed è a forma di dollaro. Nascondendosi dietro onorevoli intenti la casa di Mountain View, in realtà, non muove un passo se non per un ritorno d’immagine ed economico, tanto che negli ambienti informatici si sussurra già di un cambio di logo, dalla grande G al grande $.