L’apprendistato “riformato” è un rapporto ad alto contenuto formativo

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L’apprendistato “riformato” è un rapporto ad alto contenuto formativo

01 Febbraio 2010

La Camera, giovedì scorso, ha approvato in terza lettura un importante provvedimento del Governo (l’AC 1441-quater B ovvero il "collegato lavoro") di cui chi scrive era relatore.

Il progetto, che ora è al Senato, per una quarta ed auspicabilmente definitiva lettura, ha suscitato un ampio dibattito per tanti motivi. Tra questi vanno ricordate le nuove norme sulla conciliazione e l’arbitrato con le quali il Governo e la maggioranza hanno inteso potenziare ogni possibile modalità di risoluzione stragiudiziale delle controversie individuali di lavoro, superando i limiti che fino ad ora hanno praticamente impedito a questa esperienza di decollare.

Considerata l’inutilità del tentativo obbligatorio di conciliazione (sono invero pochissime le vertenze che vengono conciliate avanti le DPL e per le quali la fase conciliativa assolve la funzione di "filtro" rispetto alla fase processuale), le disposizioni trasformano il tentativo di conciliazione che diviene facoltativo per ambedue le parti rispetto alla vigente obbligatorietà, introducono una pluralità di mezzi di composizione alternativi al ricorso al giudice, rendono uniforme il sistema per il lavoro pubblico e privato e rafforzano le competenze delle commissioni di certificazione (infatti, le controversie in materia rappresentano il solo caso in cui il tentativo di conciliazione rimane obbligatorio). Ma le polemiche più aspre si sono sviluppate dopo la presentazione dell’emendamento sull’apprendistato.

Di che cosa si tratta? Oggi – lo ha stabilito la legge finanziaria del 2007 – il diritto-dovere d’istruzione ha la durata di un decennio (da 6 a 16 anni). Non sono stati modificati, invece, gli ordinamenti scolastici; così, i due anni d’istruzione, successivi al diploma di scuola media, non consentono ai ragazzi di acquisire alcun titolo di studio. In sostanza, si è introdotto uno "scampolo" di istruzione spesso ritenuto inutile da parte dei ragazzi che non intendono continuare gli studi. La legge stabilisce, inoltre, che l’obbligo di istruzione possa essere assolto anche mediante la frequenza di percorsi organizzati dalle strutture, pubbliche e private, del sistema della formazione professionale regionale. L’emendamento approvato riconosce ai ragazzi un’opportunità in più: entrare nel mercato del lavoro a 15 anni con un rapporto a causa mista e ad alto contenuto formativo, adempiendo nel contempo all’obbligo di istruzione. Non ha subito, infatti, alcuna modifica la norma che ha elevato a 16 anni l’età minima per l’accesso al lavoro. A nessuno sarà consentito di fare l’operaio o l’impiegato a 15 anni. Chi vuole potrà fare l’apprendista perché si riconosce a tale rapporto un contenuto prevalente d’istruzione e formazione. I riferimenti normativi non riguardano, poi, il contratto di apprendistato tradizionale (che conduce pur sempre ad acquisire una qualifica), ma il rapporto previsto e regolato dalla legge Biagi, dislocato su tre livelli allo scopo di consentire ai giovani di studiare e lavorare fino a percorrere l’intero ciclo formativo (compresi il diploma e la laurea).

L’articolo 48 della citata legge – a cui si riferisce l’emendamento – stabilisce, addirittura, che "la regolamentazione dei profili dell’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione è rimessa alle regioni", d’intesa con i Ministri Sacconi e Gelmini, sentite le parti sociali. Quanto previsto dall’emendamento diventerà operante solo a valle di tale percorso. Ecco perché sono molto discutibili le critiche avanzate dalle opposizioni che hanno contrapposto la scuola al lavoro. Non si tratta, dunque, di una norma frettolosa ed estemporanea – come è stato detto – o di un tentativo rozzo e brutale di riportare indietro l’obbligo d’istruzione.

Il provvedimento è saldamente incardinato nel sistema previsto dall’articolo 48 del decreto legislativo attuativo della legge Biagi (dlgs n.276 del 2003), che disciplina proprio l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione (il primo dei tre livelli previsti). Non è dunque una novità che l’apprendistato di cui alla legge Biagi possa essere utilizzato dai ragazzi anche per adempiere al diritto-dovere di istruzione.

L’apprendistato, tanto più quello riformato, è un rapporto a causa mista e ad alto contenuto formativo (che può accompagnare, nel suo sviluppo, il giovane fino al diploma e alla laurea combinando i contenuti educativi e formativi con lo svolgimento di un’attività lavorativa), finalizzato, nell’arco di tempo massimo di un triennio "al conseguimento di una qualifica professionale". Il destino ha voluto che sabato pomeriggio, passando davanti alla vetrina di una libreria, la mia attenzione sia caduta su di un volume de Il Mulino-Arel, intitolato "Le riforme che mancano: trentaquattro proposte per il welfare del futuro" a cura di Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu, con prefazione di Enrico Letta.

Dopo averlo acquistato mi sono messo a sfogliarlo, soffermandomi sul capitolo dedicato all’apprendistato, scritto da Pier Antonio Varesi, ordinario di diritto del lavoro presso l’Università Cattolica. Il titolo è significativo: "Tre mosse per rivitalizzare l’apprendistato". Vi si leggono molte considerazioni significative. Ne ricordiamo solo una, riguardante ciò che deve intendersi per "formazione formale" che, ad avviso dell’autore, è pur sempre un requisito fondamentale nel contratto di apprendistato riformato. "Sul punto – si legge – va chiarito che formazione formale non corrisponde a formazione esterna all’azienda (contrapposta a formazione interna), né la formazione erogata necessariamente dalla pubblica amministrazione (contrapposta a formazione in capo al datore di lavoro). Può ben essere considerata idonea all’assolvimento dell’obbligo anche la formazione svolta in azienda su progettazione del datore di lavoro e con oneri a carico dello stesso datore".

Ciò che conta – prosegue l’autore – è che qualunque sia il soggetto erogatore o il luogo di svolgimento, si tratti di un processo di "formazione formale", corrispondente ai requisiti richiesti (progetto con obiettivi formativi, esiti verificabili e certificabili, idoneità delle strutture e delle figure professionali competenti). Se questa è una delle proposte del prestigioso tink tank del centro sinistra quale senso hanno avuto le polemiche contro l’emendamento?