
L’arte della guerra nel XXI secolo. Guerra asimmetrica e imprese militari private

21 Gennaio 2021
Guerre ibride
Quello di “guerra ibrida (o asimmetrica)” è un concetto ormai ampiamente utilizzato non solo dagli esperti di relazioni internazionali o di strategia militare, ma anche dai giornalisti. Con esso si intende un’azione ostile in cui l’avversario viene aggredito utilizzando una combinazione di operazioni di intelligence, sabotaggio, guerra informatica e supporto a insorti locali attivi sul territorio nemico.
Il concetto, però, ha un ventaglio di significati talmente ampio che può riferirsi anche ad iniziative in cui manca una componente militare attiva. Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, ad esempio, ha definito la pressione diplomatica messa in atto dagli Stati membri dell’Unione Europea contro di lui e le contestuali proteste di piazza svoltesi nel suo paese una “guerra ibrida”. Prima di lui, gli stessi funzionari americani, compreso l’ex Segretario di Stato Rex Tillerson, classificarono le “interferenze russe” nelle elezioni statunitensi come “una guerra ibrida“.
L’uso ambiguo del termine da parte dei politici oscura, però, i cambiamenti cruciali che stanno effettivamente avvenendo sul campo di battaglia.
La maggior parte dei conflitti moderni, dagli eventi ucraini del 2014 alle guerre in Libia, Siria, Yemen fino a quella recente in Nagorno-Karabakh, avvengono in modalità di guerra ibrida.
Il confronto diretto tra potenze ha lasciato il posto all’uso sofisticato di combattenti per procura, nonché all’utilizzo massiccio di azioni militari a distanza in cui diventa difficile perfino individuare chi stia pilotando un drone e a quale attore impegnato sul campo risponda. A ciò si aggiungono le operazioni nel cyberspazio e la guerra nell’ambito dell’informazione, in cui il giornalista finisce per essere un vero e proprio soldato, ma su un fronte speciale: quello della propaganda.
Proxy-actors: perché sono necessari
L’elemento più importante della moderna guerra ibrida restano in ogni caso i combattenti per procura, i contractors. Il fenomeno delle “guerre per procura” esiste da tempo ed era particolarmente diffuso durante la Guerra Fredda, nonché ampiamente codificato, come testimoniano il famoso pamphlet di Carl Schmitt Teoria del Partigiano o le ampie riflessioni sulla guerra rivoluzionaria elaborate in quel periodo in Italia e in tutta Europa. Nel 1964 il politologo americano Karl Deutsch definì la “guerra per procura” “un conflitto internazionale tra due potenze straniere, combattuto sul suolo di un paese terzo, camuffato da conflitto civile, e in cui manodopera, risorse e territorio di esso vengono utilizzati per il raggiungimento di obiettivi e strategie estere preponderanti”.
Una definizione più contemporanea di “guerra per procura” è stata fornita da Daniel L. Byman della Brookings Institution, secondo il quale essa viene intrapresa “quando una grande potenza istiga o gioca un ruolo importante nel sostenere e dirigere una parte in un conflitto, ma conduce direttamente solo un piccola parte dello stesso”.
Andrew Mumford, docente di strategia militare e vicedirettore della School of Politics and International Relations presso l’Università di Nottingham, definisce la guerra per procura come “impegno indiretto in un conflitto da parte di terzi che desiderano influenzarne l’esito strategico”.
Una simile definizione riflette un cambiamento sostanziale del significato di guerra per procura rispetto a come il fenomeno è stato inteso durante la Guerra Fredda. Oggi la guerra per procura è qualsiasi conflitto condotto per mano di altri.
In effetti da quando gli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000 hanno adottato una dottrina strategica incentrata sul concetto di network, in base al quale azioni ostili possono essere condotte non solo contro avversari immediati, ma anche contro alleati, i conflitti per procura sono diventati ancora più complessi. Di fatto, sono stati gli USA i primi a riconoscere apertamente le nuove strutture flessibili della guerra moderna.
In Siria, ad esempio, sono stati gli americani ad organizzare i curdi delle Forze Democratiche Siriane per combattere l’ISIS. Oggi, grazie ad esse, essi controllano i giacimenti petroliferi della Siria e sono in condizione di usare il fattore curdo per esercitare pressioni su Bashar Assad e sulla Turchia (sebbene essa sia formalmente un alleato degli Stati Uniti).
In Yemen, l’Iran utilizza da anni i ribelli Houthi in funzione anti-saudita ed anti-emiratina, mentre gli stessi Emirati Arabi Uniti sostengono in quello scenario il Southern Transitional Council, ovvero i separatisti dello Yemen meridionale che combattono contro i ribelli Houthi. Tuttavia, il Southern Transitional Council ha periodicamente condotto attacchi anche contro gli alleati dei sauditi, il partito islamista Islah e le truppe del presidente Hadi. Ora, formalmente Arabia Saudita ed EAU sono alleati in questo conflitto, eppure la “guerra per procura” consente loro di condurre, attraverso gli attori ingaggiati sul campo, un confronto più flessibile, con una certa elasticità nell’atteggiamento da tenere nei confronti anche di coloro che almeno formalmente dovrebbero essere considerati alleati, ma che in qualunque momento potrebbero rivelarsi avversari.
Inoltre, per condurre una moderna guerra per procura, spesso non è solo importante organizzare formazioni sul campo, ma anche avere sempre a disposizione “forze per procura” che possono essere spostate da un fronte all’altro. Per l’Iran, ad esempio, questa esigenza è ottemperata dalle brigate Liwa Fatemiyoun e Liwa Zainebiyoun dell’IRGC, composte da rifugiati provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan. Altri players, invece, utilizzano a questo scopo le PMC (Private Military Companies). Non a caso, secondo Andrew Mumford “le PMC sono pronte a diventare in futuro l’elemento principale delle guerre per procura“.
Gli esperti concordano sul fatto che le imprese militari private presentino due importanti vantaggi rispetto all’esercito regolare: costano meno e non causano la cosiddetta “sindrome del Vietnam” nella società civile. Esso sono divenute una componente fondamentale e decisivo della politica internazionale e sono impiegate in numerosi conflitti armati in tutto il mondo. Il loro status particolare, e per molti versi opaco, ne consente l’uso anche in aree in cui alcuni Stati preferiscono agire senza ufficializzare la presenza dei propri soldati.
Di norma, queste strutture lavorano a stretto contatto con le agenzie militari e di intelligence dei loro paesi. Le PMC sostengono la reputazione e altri costi associati alla morte e alle ferite dei combattenti che non sono presenti negli elenchi dell’esercito regolare, svolgendo di fatto lo stesso lavoro.
L’Italia
Il paese più vicino all’Italia dove è in corso una guerra per procura è la Libia. Il dispiegamento in Libia di combattenti siriani addestrati e organizzati dalla Turchia ha dimostrato che Ankara è stata in grado di trasformare l’esercito nazionale siriano ribelle in una “compagnia di ventura”, da impiegare ovunque necessario. Si tratta, in pratica, di una formula a metà strada tra il modello iraniano e le classiche PMC occidentali, dal momento che i siriani operano sotto il controllo della PMC turca SADAT.
La Libia è l’estero vicino più importante dell’Italia, sia sotto il profilo della sicurezza (controllo dei flussi migratori illegali), sia per l’approvvigionamento energetico, eppure il futuro di questo paese è sempre più condizionato dalla volontà di Turchia e Russia. Tanto Ankara quanto Mosca, infatti, stanno utilizzando attivamente attori per procura sotto forma di PMC (SADAT e Gruppo Wagner), mentre Roma continua a muoversi nello scenario libico, alla vecchia maniera, tramite accordi con i vari soggetti politici e la presenza di un piccolo contingente delle proprie Forze Armate.
E’ evidente che Roma dovrebbe rimodulare la propria strategia per garantire i propri interessi nazionali e la propria capacità di influenza in Libia e in altre aree del mondo vitali per l’Italia. Ed è altrettanto palese che anch’essa ha la necessità di dotarsi di moderni strumenti finalizzati alla guerra per procura sul modello delle PMC. D’altronde l’Italia ha già una buona esperienza di partenariati pubblico-privati nell’ambito della sicurezza marittima (come dimostra il caso Marò), che può essere estesa anche agli scenari di conflitto terrestri.
Vale la pena a questo punto mettere a confronto i tre principali modelli di PMC: quello occidentale (principalmente americano), quello russo e quello turco, per capire quale potrebbe essere più adatto al caso italiano. Per effettuare la comparazione, utilizzeremo i seguenti parametri: addestramento ed esperienze di combattimento, ideologia e risultati conseguiti.
Addestramento ed esperienze di combattimento
Normalmente, negli Stati Uniti (prenderemo ad esempio Blackwater, oggi ribattezzata Academi) e in Russia (Wagner Group) le PMC sono formate prevalentemente da ex militari, inclusi ex membri delle unità speciali.
Blackwater ha guadagnato notorietà nel 2007 allorchè una sua unità ha ucciso 17 civili iracheni e ferito 20 persone in Nisour Square a Baghdad, per cui quattro contractors americani sono stati condannati negli Stati Uniti, ma recentemente graziati dal presidente Donald Trump.
Blackwater, poi Academi, (entrata a far parte di Constellis nel 2014), ha avuto esperienze di guerra in Iraq e Afghanistan. Altre PMC statunitensi sono invece presenti in Somalia.
Si ha inoltre notizia di una sulla loro partecipazione alla guerra in Yemen dalla parte della coalizione anti-Houthi.
L’esperienza dei russi, invece, è per certi aspetti molto più contenuta, ma al tempo stesso più intensa. Nel 1979 furono impiegati contro i mujaheddin in Afghanistan e, successivamente, contro i ribelli in Cecenia. Considerando che la maggior parte delle guerre per procura vengono combattute in paesi musulmani e che gli europei sono osteggiati soprattutto da gruppi islamici irregolari, i russi possono vantare un’esperienza unica nell’affrontare questo genere di minaccia. Il Wagner Group, infatti, è composto in gran parte da veterani dei conflitti in Afghanistan e Cecenia che conoscono molto bene questo nemico.
La principali esperienze delle PMC americane sono legate alla protezione delle strutture e delle missioni diplomatiche, oppure ad azioni mirate finalizzate all’eliminazione di nemici. In Yemen, ad esempio, i contractors statunitensi sono stati ingaggiati dagli Emirati Arabi Uniti per assassinare i leader del partito Islah, alleato dell’Arabia Saudita, nonostante essa sia a sua volta alleata degli Emirati nella coalizione anti-Houthi (Abu Dhabi considera Islah, ramo yemenita dei Fratelli Musulmani una potenziale minaccia).
I russi, invece, vantano una notevole esperienza nelle operazioni di combattimento sul campo. È stato proprio il Gruppo Wagner, in Siria, a scontrarsi con l’Isis, liberando porzioni significative del paese, compresa Palmyra, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Mentre le PMC americane hanno esperienza soprattutto per quanto concerne il controllo di un territorio occupato, i russi sono maestri nella controffensiva e vengono spesso impiegati per respingere terroristi o gruppi radicali e per procedere alla liberazione di importanti aree strategiche. Non a caso, il Gruppo Wagner in Siria, oltre Palmyra, ha dato un importante contributo alla liberazione delle regioni orientali e centrali della seconda città più grande della Siria, Aleppo, alla riconquista dei giacimenti di gas Shaer nella provincia settentrionale di Homs e rottura dell’accerchiamento dell’Isis contro la città di Deir Ezzor.
In conclusione, dunque, le PMC russe rispetto a quelle americane e occidentali vantano una maggiore esperienza di combattimento in termini di contrasto all’offensiva avversaria, nonché nell’ambito della difesa e nell’addestramento degli alleati.
La turca SADAT, invece, è nata nel 2012 ed è un fenomeno molto particolare. Inizialmente essa era controllata da ex militari di matrice islamista che avevano riscontrato difficoltà di inserimento e di carriera nell’esercito regolare di Ankara, da sempre fortemente connotato in senso laico. L’Esercito Nazionale Siriano (una delle principali milizie anti-Assad) è una sua diretta emanazione e gli istruttori di SADAT hanno preso parte direttamente ad operazioni di combattimento in Siria e in Libia e, secondo diverse fonti, nella recente guerra in Nagorno-Karabakh a favore dell’Azerbaigian, dove è stata ripetutamente segnalata la presenza di mercenari siriani, il cui arrivo nel Caucaso poteva essere realizzato soltanto grazie alla collaborazione di SADAT.
SADAT ha una notevole esperienza nella guerra asimmetrica, ma a causa dell’uso di combattenti ribelli siriani è caratterizzato da una disciplina molto inferiore rispetto a quella di un esercito regolare. La Turchia promuove attivamente il “marchio” SADAT, soprattutto nei paesi musulmani. Secondo diversi questa PMC è presente nelle basi turche in Somalia e Qatar. In essa fattore islamista gioca un ruolo importante che la rende inaffidabile per l’Italia.
L’ideologia
Il profilo del fondatore di Blackwater, Eric Prince, dimostra come alla base delle PMC americane ci sia una base ideologica. Prince si è autodefinito un figlio del libero mercato, vicino al mondo della finanza e all’estrema destra protestante americana (sebbene formalmente Prince sia cattolico).
Le PMC americane sono uno strumento organico dell’egemonia USA, promuovono l’eccezionalismo americano e sono fautrici di un mondo unipolare. Come la maggior parte delle PMC, lavorano a stretto contatto con i servizi militari e di sicurezza del loro paese.
Anche il profilo del fondatore del SADAT, il generale turco Adnan Tanriverdi, la dice lunga sul sostrato ideologico dell’organizzazione.
Di tendenze islamiste, vicino al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il generale è sempre stato considerato una pecora nera nelle forze armate turche, orgogliose del loro secolarismo. Tuttavia, la guerra in Siria, e il successivo intervento turco nel conflitto militare libico, hanno fatto aumentare notevolmente le sue quotazioni.
Dal 2016 Tanriverdi è consigliere ufficiale del presidente turco ed ha ricoperto questo ruolo fino a poco tempo, all’inizio del 2020, quando è scoppiato uno scandalo: Tanriverdi ha pubblicamente dichiarato che si stava preparando all’avvento del Mahdi, una figura escatologica che nel mondo musulmano annuncia la Fine del Mondo e la battaglia decisiva delle forze dell’Islam contro il Male.
Nonostante lo scalpore suscitato, né Tanriverdi né SADAT hanno perso la loro posizione speciale e, anzi, SADAT è stato attivamente coinvolto nell’invio di mercenari siriani in Libia.
Il generale Tanriverdi ha continuato a professarsi politicamente islamista e, attraverso il Center for Strategic Studies of Advocates of Justice (ASSAM) di cui è presidente, è impegnato a sostenere la creazione della confederazione islamica Asrika (Asia + Africa).
Ingaggiare SADAT, pertanto, significa adottare un modello ideologico non meno rigido di quello americano, volto a diffondere nel mondo i valori occidentali e l’ideologia dei diritti umani, ma nel caso dell’organizzazione turca finalizzato alla costruzione di un progetto islamista, dietro il quale si cela la Fratellanza Musulmana, classificata come estremista e terrorista in molti paesi del mondo.
Il modello russo si presenta come fortemente alternativo ai due analizzati. Mosca, nell’ambito delle relazioni internazionali, è fortemente orientata sui principi del multipolarismo, che ritiene che ogni civiltà disponga di un proprio sistema di valori, in base al quale le varie nazioni sono legittimate a costruire il proprio particolare sistema politico. Coerentemente con questo approccio, le PMC russe tendono a non imporre modelli ideologici ai loro partner, il che rappresenta un vantaggio allorchè ad ingaggiarle sono paesi terzi, la cui sovranità, almeno in teoria, viene rispettata. Non è un caso che la collaborazione dei russi sia stata spesso richiesta dai governi ufficiali, ad esempio quello siriano e quello della Repubblica Centrafricana. Diverso è il caso libico – dove il Gruppo Wagner è intervenuto a sostegno del generale Khalifa Haftar – che però presenta alcune peculiarità, a cominciare dal fatto che entrambi i governi rivali (a Tripoli e Bengasi) mancano di piena legittimità.
A caratterizzare i combattenti delle imprese militari private russe sono, infine, un forte senso di patriottismo e una certa mistica della guerra, intesa come percorso di autorealizzazione esistenziale.
Risultati conseguiti
Andiamo ora a considerare i risultati effettivamente raggiunti dalle PMC in esame.
In Iraq e in Afghanistan la questione del ritiro delle truppe statunitensi è all’ordine del giorno, tuttavia in nessuno dei due paesi gli Stati Uniti hanno raggiunto gli obiettivi che si erano prefissi. Il terrorismo, innanzitutto, non è stato sconfitto, al contrario, in Iraq, ad esempio, proprio l’invasione americana ha provocato la nascita dell’Isis. Lo stesso è accaduto in Somalia, dove le PMC occidentali sfruttano la scomparsa dell’elemento statuale per rafforzare il loro potere, lasciando, però, che il paese diventi grande esportatore di terrore e instabilità in tutto il continente africano.
Certo, in Iraq gli americani hanno conseguito il controllo di importanti giacimenti petroliferi, ma il prezzo pagato è stato salato e ha comportato la distruzione dello Stato iracheno e il rafforzamento nell’area dell’Iran, storico nemico degli Stati Uniti, assai più pericoloso per Washington di quanto non fosse Saddam Hussein. Tutto questo senza contare che l’immagine degli USA e delle PMC americane è stata gravemente compromessa nella regione dallo scandalo Blackwater.
La SADAT turca, da parte sua, è riuscita in questi anni ad espandere notevolmente le aree sottoposte al controllo dei gruppi islamisti tanto in Siria quanto in Libia. La realtà è che l’alleanza con vari gruppi armati illegali ha creato un terreno fertile per la crescita del fondamentalismo islamico e del terrorismo, che continuano a rappresentare una costante minaccia per la sicurezza dei paesi vicini e dell’Europa. La stessa Turchia, il cui presidente Erdogan ha ampiamente foraggiato i gruppi più radicali per utilizzarli a proprio vantaggio, corre il rischio di vedere i propri clientes rivoltarglisi contro all’improvviso. A tal proposito basta ricordare che lo stesso Bin Laden era originariamente un alleato degli Stati Uniti.
Ma a prescindere dall’ideologia di base, il modello SADAT presenta ulteriori svantaggi. Ovunque sia intervenuto (in primis Siria e Libia), dopo essere riuscito a stabilizzare il conflitto, esso si è rivelato incapace (o in ogni caso tutt’altro che desideroso) di modificare in modo significativamente gli equilibri di potere e di pacificare il territorio sostenendone la ricostruzione.
Al contrario le PMC russe, ad esempio in Siria, non solo sono riuscite a sconfiggere l’ISIS, ma hanno contribuito a trasformare il paese in un baluardo contro l’estremismo islamico. In Siria lo stato laico è stato preservato, ha ripreso il controllo del proprio territorio e oggi Damasco è un affidabile alleato di Mosca, che viene percepita positivamente anche dalla popolazione locale, dimostrando che oltre alla battaglia sul campo e possibile vincere anche quella reputazionale, nonostante gli orrori della guerra.
In effetti il Gruppo Wagner in Siria, Libia e Repubblica Centrafricana ha saputo presentarsi principalmente come una forza in grado di garantire ordine e sicurezza, anche attraverso l’addestramento e lo sviluppo delle forze armate regolari locali.
Da questa comparazione emerge come i vari modelli operativi esistenti presentino tutti punti di forza e criticità. Ciò che resta indifferibile è l’esigenza italiana di non sottrarsi alla necessità di dotarsi di strumenti che le consentano di partecipare a pieno titolo, anche sul versante militare, alla competizione globale, mantenendo, ovviamente, una linea nelle relazioni internazionali e nell’approccio agli scenari di conflitto coerente con il proprio multilateralismo e con l’ancoraggio all’architettura di legalità internazionale definita dalle Nazioni Unite.