L’articolo di Cicchitto e Calderisi su “Perché è saggio dire NO”, il libro di Quagliariello-Onida sulla riforma costituzionale

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L’articolo di Cicchitto e Calderisi su “Perché è saggio dire NO”, il libro di Quagliariello-Onida sulla riforma costituzionale

Noi abbiamo una grande considerazione per il sen. Gaetano Quagliariello (che rimane un amico, malgrado i sopravvenuti dissensi politici) perché riesce sempre a motivare nel migliore dei modi possibili le sue scelte politiche anche se esse sono di segno opposto sullo stesso argomento. È il caso della legge di riforma costituzionale per la cui elaborazione il sen. Quagliariello ha svolto un ruolo assai importante spiegando poi in modo assai convincente la sua valutazione positiva.

A suo tempo il sen. Quagliariello ha votato a favore della riforma costituzionale sia l’8 agosto 2014 in prima lettura, sia il 13 ottobre 2015 sul testo definitivo, mentre è uscito dall’Aula il 20 gennaio 2016 nella seconda deliberazione conforme (dopo aver lasciato Ncd-Ap, di cui era il coordinatore). Il 27 gennaio 2015, ha votato a favore anche della legge elettorale sul testo definitivo oggi in vigore. Ora ha deciso di votare No al referendum e ha scritto un bel libro, insieme a Valerio Onida, sostenendo che le riforme hanno “cambiato verso”. Ma a “cambiare verso” o opinione è proprio lui, alla luce non solo dei voti espressi in Parlamento ma anche del ruolo svolto in precedenza come Ministro per le riforme del governo Letta.   

Il sen. Gaetano Quagliariello ha infatti presieduto, in tale qualità, la Commissione per le riforme composta da 42 costituzionalisti ed esperti. Non si è trattato di una specie di tavola rotonda in cui ognuno esprimeva le proprie idee, ma una Commissione che nella sua Relazione conclusiva ha espresso, a larghissima maggioranza, precisi indirizzi che sono a base delle riforme approvate dal Parlamento “ in sostanziale continuità” con essi, come lo stesso sen. Quagliariello ha rivendicato nell’Aula del Senato  (“un percorso che muove dall’inizio di questa legislatura, dal gruppo di lavoro voluto dal presidente Napolitano, poi sviluppatosi con il Governo Letta nell’approfondimento della Commissione  per le riforme e giunto oggi a un suo coronamento in sostanziale continuità”).

Quegli indirizzi hanno riguardato non solo la riforma del bicameralismo paritario e del titolo V, ma anche la legge elettorale con un sistema volutamente “decisivo”, che porta alla legittimazione diretta del premier (cap. IV n. 4 e cap. V n. 7 della Relazione). Il prof. Onida è stato uno dei pochissimi componenti della Commissione che ha messo agli atti il suo dissenso su tale impostazione, e oggi il suo No è pertanto coerente con quel dissenso. Il sen. Quagliariello ha invece condotto i lavori della Commissione fino alla Relazione conclusiva.

In particolare, è stupefacente la tesi espressa non solo da Onida, ma anche da Quagliariello, in contrasto con quanto sempre sostenuto in precedenza, che il bicameralismo paritario –  con due camere che esprimono entrambe la fiducia e che sono elette addirittura da due corpi elettorali diversi (al Senato votano solo gli elettori con più di 25 anni) – non creerebbe problemi alla governabilità, come se quanto accaduto nel 2013 sia un mero accidente (da sottolineare che esiti diversi nelle due camere si ebbero, sia pure in forma minore, già nel 1994, 1996 e 2006, quando il sistema era fortemente bipolare, ora che è divenuto tripolare rischieremmo quasi sempre esiti diversi). Di conseguenza, secondo il sen. Quagliariello, non ci sarebbe alcun bisogno e urgenza di superare il bicameralismo paritario, ma al Senato aveva sostenuto che “ l’atto che oggi ci accingiamo a compiere è un fatto storico che dopo 30 anni mette fine ad un paradosso ritenuto invalicabile: quello del riformatore che deve riformare se stesso ”.

E’ infondata la tesi sostenuta nel libro di una riforma approvata da una maggioranza variabile e via via più ristretta. Sono ancora agli atti le dichiarazioni entusiaste sia nei confronti dell’Italicum sia nei confronti della riforma costituzionale da parte dei massimi esponenti di Forza Italia. Certamente la rottura del patto del Nazareno è stato un fatto politico rilevante che ha fatto venir meno il voto favorevole di Forza Italia, ma non quello di molti dei suoi parlamentari che hanno continuato a votare a favore anche a costo di un ulteriore separazione. Lo provano i numeri. Al Senato i voti favorevoli nelle tre letture sono stati, rispettivamente: 183, 178, 180. Alla Camera: 357, 367, 361.  Come si vede, numeri molto stabili. 

Certamente Renzi ha compiuto degli errori di metodo, anche gravi. Il primo sull’elezione del Presidente della Repubblica quando non ha ricercato durante il lavoro politico preparatorio anche il consenso di Berlusconi sul nome di Mattarella (ma occorre sottolineare che Forza Italia ha fatto saltare il patto del Nazareno perché gli imputava una perdita di consensi e quindi è prevalsa nuovamente in essa una deriva estremista). Il secondo nel non aver sempre tenuto conto che il governo non è un monocolore Pd, ma un governo di coalizione la cui maggioranza è assicurata, sin dall’ottobre 2013, dall’apporto di Ncd e Ap, e che il sistema elettorale non può strutturalmente privare di prospettiva questa componente politica. Il terzo, il più grave, sulla personalizzazione del referendum, indubbiamente compiuta dal Presidente del Consiglio nei mesi scorsi.

Ma questi errori politici compiuti da Renzi, così come alcuni difetti della riforma, che certamente esistono (anche in conseguenza delle ripetute mediazioni parlamentari), non sono assolutamente in grado di inficiare la validità della riforma e di giustificare il No al referendum. Un esito che impedirebbe di raggiungere l’obiettivo storico del superamento del bicameralismo paritario e di riformare il titolo V, con tutte le conseguenze derivanti dall’ennesima dimostrazione dell’incapacità di riformarsi della nostra democrazia, cioè di dotarsi di istituzioni moderne stabili ed efficaci, mettendo a gravissimo rischio la governabilità. L’Italia subirebbe una pesantissima perdita di credibilità anche a livello europeo e internazionale, con inevitabili ricadute sui rapporti con Bruxelles, sui mercati e sulla tenuta della finanza pubblica. Un lusso che non possiamo assolutamente permetterci. 

(Tratto da Il Dubbio)