L’asse Sofia-Washington scavalca l’Europa

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L’asse Sofia-Washington scavalca l’Europa

29 Settembre 2007

Quando il 10 e il 11 giugno scorso il presidente degli Stati Uniti George W. Bush mise per la prima volta piede in Bulgaria – ultima tappa della sua missione in Europa –  non ha trovato le contestazioni popolari con cui era stato accolto da alcuni alleati europei occidentali. Ma questo giustamente non ha sorpreso nessuno. Un simile atteggiamento pro-americano nei Paesi dell’Europa orientale, però, va ben al di là della celebre, seppur banale, distinzione tra “vecchia” e “nuova” Europa. La novità è piuttosto da ricercare in una nuova concezione pragmatica della situazione internazionale, all’interno della quale i paesi ex satelliti dell’Unione Sovietica cercano un equilibrio stabile tra vocazione europea e atlantica, considerate complementari e non in conflitto.  

Questo è il caso anche della Bulgaria, il piccolo Paese balcanico che – ritenuto fino a 18 anni fa l’alleato più fedele di Mosca – è oggi membro a pieno titolo della NATO e dell’Unione Europea. Proprio per questo la visita del presidente americano ha avuto un significato politico importante, ma anche un messaggio preciso da trasmettere. Già nel 1999, quando il primo capo di stato americano a recarsi in Bulgaria fu Bill Clinton, Sofia aveva appena concesso il proprio spazio aereo per l’offensiva che la NATO stava preparando contro la vicina Serbia. Oggi, le relazioni si sono rafforzate ben oltre le più coraggiose previsioni, in quanto l’ex paese comunista sta per cedere agli USA alcune sue basi militari che ospiteranno, entro la fine dell’anno, truppe con divise a stelle e strisce.    

L’intensificazione dei rapporti tra Sofia e Washington ha certamente la sua preistoria: dalla caduta del Muro di Berlino, passando per l’ondata di democratizzazione che ha investito la parte orientale del Vecchio continente, per arrivare alle guerre nell’ex Jugoslavia e, da ultimo, alla lotta contro il terrorismo internazionale e l’attiva partecipazione bulgara nelle operazioni in Afghanistan e Iraq.

Sono questi i presupposti che hanno dato vita all’accordo decennale di cooperazione militare, firmato il 28 aprile 2006 dal segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ed il suo omologo bulgaro, Ivaylo Kalfin. Il documento quadro sanciva soprattutto le modalità di utilizzo congiunto di tre siti militari sul territorio bulgaro, che ospiteranno a rotazione fino a 5 mila soldati. L’intesa prevede che, dopo l’arrivo dei contingenti americani previsto per l’inizio del prossimo anno le basi di Bezmer, Novo Selo e l’aereporto di Graf Ignatievo continueranno ad essere formalmente sotto comando bulgaro e saranno utilizzate principalmente come campi di addestramento e supporto logistico.

Si è trattato in questo caso di una prova eccellente di acrobazia giuridica per placare i sentimenti negativi, piuttosto sporadici in verità, manifestatisi tra la popolazione, dovuti principalmente al fatto che, dotandosi di simili infrastrutture, la Bulgaria potrebbe facilmente trasformarsi in un obiettivo per la rete terroristica internazionale. Questo timore spiega anche l’insistenza con cui le autorità locali hanno sollevato la richiesta di una maggiore protezione da parte del suo più potente alleato. Proprio in occasione della recente visita di Bush, al centro dei colloqui con la controparte bulgara è stata la questione spinosa del cosiddetto “scudo spaziale”, dal quale – stando al progetto iniziale – la Bulgaria rischia di rimanere esclusa. Il problema è stato, almeno per ora, tamponato grazie all’impegno americano di fornire missili a medio raggio al suo alleato balcanico.

Ma perché tutto questo affiattamento? La ragione principale è la perfetta combinazione e complementarietà di interessi e obiettivi strategici. Tutti sanno che tre anni fa gli USA hanno annunciato il più grande ridispiegamento di forze dopo la Seconda guerra mondiale, spostando il baricentro della loro presenza militare in Europa dal vecchio confine della Guerra Fredda ai confini orientali del continente. Questo cambio strategico è stato reso necessario dalle nuove sfide sul piano mondiale, tra cui al primo posto ovviamente è il terrorismo internazionale che viene alimentato dalla situazione di instabilità in Afghanistan e in Medio Oriente.  

Le basi in Bulgaria rappresentano un importante dispositivo logistico proprio in relazione agli attuali e ai futuri impegni  nelle aree più calde del pianeta. L’accordo permette a Washington di dispiegare le proprie forze armate in Paesi terzi, utilizzando proprio le infrastrutture messe a disposizione da Sofia, previa consultazione delle autorità bulgare. Nel testo del trattato è inclusa anche una clausola che acconsente a una decisione in piena autonomia da parte del comando americano, qualora le circostanze lo richiedessero.

La presenza in Bulgaria riveste per gli Stati Uniti un’importanza “globale”. In effetti, nonostante le sue piccole dimensioni, il Paese balcanico si trova sull’ideale crocevia tra Occidente e Oriente. In più, esso occupa una posizione strategica rilevante per il controllo delle sponde orientali e meridionali del mar Nero. Ne segue che l’impiego delle basi non serve solo per eventuali operazioni in Medio Oriente, assumendo connotati molto più europei. Trattasi cioé di un centro di controllo anche di quello accade nei Balcani occidentali – che come dimostra la vicenda dei negoziati sul Kosovo, sono, purtroppo, lontani dalla piena stabilizzazione. Un occhio andrà inevitabilmente anche alla Turchia, che ultimamente si scopre ipersensibile ad alcune posizioni americane, specie con riferimento alla situazione in Iraq. Ma il vero segnale viene mandato a diverse migliaia di chilometri a nordest, nel bianco palazzo del Cremlino. La storia dell’Europa ci ha sempre insegnato che la Russia considera da sempre gli stretti e i Balcani un obiettivo strategico della propria politica estera. Con Belgrado ancora sotto l’indiretta tutela di Mosca, diventava quindi fondamentale issare la bandiera “stars and stripes” nel cuore della regione.

Eppure la sfida alla Russia non riguarda solo gli aspetti militari. E’ in corso una battaglia ben più importante che riguarda i flussi di petrolio e di gas naturale dalla ricchissima Asia Centrale in Europa. Nell’Europa sudorientale, infatti, Washington e Mosca si scontrano in un risiko energetico che li vede coinvolti sia direttamente che come  semplici investitori o stakeholders indiretti. In palio ci sono importanti progetti per la costruzione di gasdotti e oleodotti – il Southstream, il Nabuco, il Burgas-Alexnadroupolis.

Per la Bulgaria avere delle basi americane sul proprio territorio significa, anzitutto, creazione di posti di lavoro e d’indotti commerciali per le aree interessate. Ma il portavoce del ministero degli Esteri, Dimitar Tzachev, si spinge anche oltre: “Noi siamo convinti che, per quanto concerne l’economia, la presenza di basi congiunte rafforzerà la fiducia degli investitori stranieri e eserciterà un effetto benefico sul clima complessivo nel nostro Paese”. A conferma che uno stato, per garantire il proprio sviluppo e benessere economico, ha bisogno, almeno nella fase iniziale, di protezione e sicurezza.

Per la Bulgaria, la difesa rappresenta tuttora un bene di lusso; per entrare nella Nato ha dovuto ridimensionare consistentemente le proprie Forze Armate e ha avviato un programma graduale di modernizzazione degli armamenti che avrà bisogno ancora di molto tempo per essere completato. Per questo motivo, mentre l’UE è indispensabile per il rilancio in campo economico e sociale, la NATO e la relazione con gli Stati Uniti sono decisive per la sicurezza, specie in presenza di minacce nuove e di grande portata, come il terrorismo. Questo spiega la scelta della cosiddetta “Nuova Europa”, che non fa altro che ripetere esattamente quello che la “Vecchia Europa” fece sessanta anni fa.

Questa è la politica internazionale, i sentimenti del passato c’entrano poco. Ora la base di Graf Ignatievo – piccolo paesino che porta il nome di un grande diplomatico russo della seconda metà dell’Ottocento – ora dovrà abituarsi all’inglese con accento americano dei marines.