L’assedio al Cav. da trappola per il Pdl ora è un boomerang per i ribaltonisti
26 Gennaio 2011
Sfiducia a Bondi, federalismo, dossier Ruby a Montecitorio. Tre questioni sulle quali l’asse tra le opposizioni giocato come catapulta per sovvertire il voto popolare e buttare giù il Cav., da trappola mortale per il Pdl diventa un boomerang per i ribaltonisti. Nella giornata della controffensiva, il premier convoca lo stato maggiore del Pdl e chiede una volta di più ai suoi di stare al suo fianco nella battaglia campale che lo vede schierato su più fronti.
Il muro contro muro di Casini&C. sul caso Bondi e sul federalismo non sfonda la cortina di ferro alzata dal Pdl che non cede ai tentativi terzo polisti di aprire brecce al proprio interno e fare pressing sul Cav. affinché faccia un passo indietro. E i passaggi di ieri nei palazzi della politica indicano chiaro che la maggioranza marcia compatta.
Il Pdl punta i piedi sulla mozione di sfiducia a Bondi: oggi a Montecitorio si va alla conta. Stessa linea della fermezza sul dossier inviato dai pm milanesi alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera che la maggioranza respinge al mittente (forte anche di uno scarto di due voti in più). L’atteggiamento determinato dei pidiellini fa recedere anche la Lega che in un primo tempo aveva ipotizzato il rinvio del voto sulla sfiducia al ministro dei Beni culturali chiesto dai centristi per consentire ai propri parlamentari di partecipare al Consiglio d’Europa convocato per l’esame delle mozioni sulla cristiano-fobia.
Altrettanto netta la posizione nei confronti di Gianfranco Fini tornata al centro della ribalta politica: in conferenza dei capigruppo Pdl e Lega ribadiscono la richiesta di discutere il suo ruolo alla presidenza di Montecitorio invocando un dibattito parlamentare. Fini dice no sostenendo che si tratta di materia di pertinenza della Giunta per il regolamento, tuttavia è facile ritenere che il ‘caso’ non sia finito qui, anche perché sull’affaire Montecarlo ci sarebbero nuove carte giudiziarie sulle quali il premier conta per risalire la china di questi giorni difficili. Sono quelle che il governo di Santa Lucia avrebbe spedito alla Farnesina e che proverebbero in modo inequivocabile che Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, sarebbe il vero proprietario della casa di Montecarlo.
Ai piani alti di Montecitorio il leader di Fli che ha sempre garantito dimissioni immediate in caso fosse dimostrata la proprietà del cognato, fa spalluccia e al portavoce Fabrizio Alfano consegna la linea: “è una minestra riscaldata. C’è un’inchiesta in corso e chi parla di nuove carte si rivolga alla magistratura”. Eppure tra i futuristi c’è chi non nasconde preoccupazione per il riemergere della vicenda proprio quando il presidente della Camera spinge per le dimissioni di Berlusconi accodandosi al dicktat di Casini.
Il mirino dei terzo polisti puntato su Bondi rivela la tattica dell’accerchiamento: il tentativo – fallito – di rinviare di una settimana il voto sulla sfiducia altro non è che un modo dal un lato per tenere ancora sulla graticola mediatica il ministro e coordinatore nazionale del Pdl (uno degli uomini più vicini al Cav.), dall’altro per aumentare il pressing sulla maggioranza con l’obiettivo di orientare il “ricatto politico” come lo definiscono nei ranghi pidiellini, sempre nella solita direzione: il passo indietro del premier.
E però, la mossa terzo polista segnala un altro dato: la forza numerica sbandierata come grimaldello per fare breccia nella maggioranza, non c’è. E infatti il Pdl innesta su questo la sua controffensiva: la soglia di sicurezza è fissata a quota 312 e la consapevolezza di fondo nella maggioranza è che il blocco delle opposizioni si fermi su un range che oscilla tra 280 e 300 no. Ma è altrettanto vero che pure tra i parlamentari moderati democrat e centristi, la sfiducia a Bondi viene considerata un passaggio assolutamente strumentale e come tale, destinato a fallire, nonostante il ritornello ripetuto dalla Melandri (Pd) che no, non si tratta di una questione personale su Bondi.
Non a caso il Pdl gioca la carta della conta finale e immediata, puntando anche sulle assenze fisiologiche nei banchi delle opposizioni che fanno pendere dalla propria parte l’ago della bilancia. E poco importa se il centrista Galletti bolla come “piccola tattica politica” la mossa della maggioranza. Oltre ad alcuni deputati Udc già in volo per Strasburgo, anche nel Pd dovrebbero essere nutrite le assenze, almeno quattro o cinque parlamentari non parteciperanno al voto. E nel pallottoliere delle presenze, non viene considerata neppure quella della neomamma Giulia Bongiorno (finiana) e di un’altra deputata futurista in gravidanza. Quanto basta per far pronosticare al parlamentare democrat Stefano Graziano che alla fine “saremo sotto di una quindicina di voti…”.
C’è poi il capitolo federalismo. La conta dei voti in questo caso appare più incerta, visto il blocco del no che mette sullo stesso piano Bersani, Di Pitero, Casini e Fini (quest’ultimo solo pochi mesi fa aveva sostenuto e votato la riforma) anche se è vero che il mezzo sì di Chiamparino all’apertura di Calderoli (e la mediazione a 360 gradi della Lega) sulle modifiche chieste dai sindaci fa ritenere possibile che qualche crepa cominci a intaccare il fronte delle opposizioni, specie nel versante dei piddì riformisti, non solo parlamentari ma soprattutto amministratori. Se infatti Chiamparino a nome dell’Anci porta a casa alcune delle istanze sollevate nel confronto con Calderoli appare del tutto incomprensibile come poi al momento del voto l’area moderata del suo partito possa fare marcia indietro solo perché serve dare una spallata a Berlusconi.
Oltretutto col rischio che anche questa volta la mossa di Casini&C. faccia la fine della mozione di sfiducia del 14 dicembre o quella della relazione sulla giustizia del ministro Alfano che solo un paio di settimane fa ha confermato che il governo Berlusconi è vivo e vegeto. Anche in questo caso saranno importanti i voti dei “Responsabili” ma ciò che sarà interessante vedere è come si comporterà il blocco delle opposizioni che sta usando il federalismo come grimaldello per puntare alle dimissioni del premier.
La battaglia della maggioranza prosegue anche nella Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dove è arrivata la memoria difensiva e dove il relatore di maggioranza Antonio Leone chiede di respingere la richiesta dei pm di perquisire gli uffici del tesoriere Giuseppe Spinelli, per ”fumus persecutionis” contro il premier. Nel vertice coi suoi il Cav. conferma la linea della fermezza e chiama tutti alla battaglia finale. Il primo round oggi a Montecitorio.