L’assedio: i primi cento giorni di Trump alla Casa Bianca

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L’assedio: i primi cento giorni di Trump alla Casa Bianca

28 Aprile 2017

I primi cento giorni di Donald Trump alla Casa Bianca? Un totale fallimento. Così parlò la grande stampa che com’è noto nei confronti del Don ha dimostrato sempre la massima obiettività. Un fallimento? Ripensiamo un attimo a cosa sono stati questi cento giorni. Sono iniziati, ancora prima del giuramento da presidente, con la richiesta di effettuare un riconteggio dei voti da parte dei verdi e sostenuta dal partito democratico, che aveva perso le elezioni. Poi il disco rotto degli hacker russi che avrebbero manipolato il voto. E i dossieraggi ai danni del Don e del suo staff ordinati da Obama in campagna elettorale. 24 ore dopo il giuramento, con un tempismo straordinario, la grande manifestazione delle donne contro Trump, le accuse di essere un maniaco sessuale prefabbricate da mercenari dell’intelligence, e quelle sulla salute psichica del presidente. 

E ancora le rivolte scoppiate nei campus e orchestrate, dicono in molti, dal grande sponsor del globalismo, il finanziere Soros. Per non dire di Obama che non si è certo ritirato a vita privata, ha solo spostato altrove la sua “war room” con l’obiettivo, dicono, di puntare all’impeachment del rivale. Giudici contro, giornali contro, Big Web contro, Democratici contro, e ci si mettono anche i Repubblicani che, dopo lo scivolone sulla riforma sanitaria, adesso rischiano di provocare un nuovo “shutdown”, con i dipendenti pubblici mandati a casa perché non passa il budget.

Ecco, se qualcuno anche in Italia si fosse preso la briga di analizzare in questa chiave i cento giorni, una specie di grande assedio alla Casa Bianca, forse avremmo letto meno articoli indignati sui “fallimenti” di Trump: il muro che non si è fatto più (in realtà per ora è bastato evocarlo visto che il numero degli ingressi di clandestini dal Messico si è ridotto sensibilmente), gli Usa che non escono dai trattati di libero scambio come il NAFTA (al contrario Trump ha dato via libera con il Canada al progetto di un grande gasdotto e ieri ha firmato un nuovo ordine per ridurre le limitazioni alle estrazioni offshore); i missili sulla Siria di un presidente che doveva passare alla storia per il suo isolazionismo, come se gli isolazionisti fossero dei pacifisti sotto mentite spoglie (in realtà lo “strike” contro Assad è stato un monito per dire l’America è tornata). 

E’ vero, il Don in persona ha detto che non avrebbe mai immaginato che il lavoro del presidente degli Usa fosse così difficile. Ma la cosa più difficile per Trump, come avvenne in campagna elettorale, è rompere la prigione in cui cercano di rinchiuderlo. Il Don fino adesso ci è riuscito in un modo molto semplice. Sparigliando, rovesciano le carte sul tavolo, sorprendendo i suoi sodali e figuriamoci gli avversari. Chi si lamenta dei risultati ottenuti dal presidente nei primi cento giorni magari potrebbe anche avere l’accortezza di aggiungere che, se il lavoro di presidente degli Usa è il più difficile del mondo, diventa ancora più complicato quando ti trovi a governare con tutti gli altri poteri contro.