L’assistenzialismo di sinistra ha affossato il cinema italiano

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L’assistenzialismo di sinistra ha affossato il cinema italiano

04 Settembre 2007

La crisi del cinema italiano si è consumata in questi ultimi dieci anni sotto l’egida dello Stato assistenziale e sciupone. Mentre i riflettori stanno accesi sul Festival di Venezia e si parla a raffica (e a sproposito) del rilancio della cinematografia made in Italy, pochi, ancora troppo pochi conoscono le cifre drammatiche della celluloide di casa nostra. Il rapporto sullo stato dell’arte si apre all’insegna di due parole: sprechi pubblici e insuccessi a piene mani.

Lo Stato a speso dal 1994 ad oggi 730 milioni di euro per confezionare 500 film, di cui poco più di 300 usciti in sala: è diventato così il più grande produttore d’Europa, ma anche il peggiore. Tutto questo danaro è stato infatti messo in circolo con l’intento dichiarato di salvare il nostro cinema, ma il risultato è l’esatto contrario dei desiderata. Invece di rimontare posizioni e di ritornare in vetta, siamo finiti in fondo alla classifica.

In Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna, per non parlare degli Stati Uniti, le pellicole italiane hanno raggiunto un peso del tutto marginale: fra lo 0,3 e l’1% dell’incasso globale dai botteghini. Mentre dentro i confini nazionali il consumo è sceso al di sotto della media europea. Una debacle, figlia di una sprecopoli che ha padri e beneficiati. Partiamo dai secondi. Ci sono film che ricevono milioni di euro di finanziamenti statali e ne incassano poche decina di migliaia. E’ vero che il “rientro” in biglietti costituisce circa un terzo del totale. Ormai infatti i passaggi televisivi, i dvd e quant’altro rappresentano due terzi degli introiti%3B ma se dal botteghino arrivano quelle miserie, la baracca non si raddrizza più. Le pellicole che tirano sono poche, pochissime, 2 o 3 all’anno, poi ce ne sono meno di una decina che vanno così così e il resto è “profondo rosso”.

Qualche esempio? Se ne possono trovare a volontà. Cervellini fritti impanati(1995) conquista 16mila euro,  ma dallo stato ne ha avuti 1.189.916; Cronache del Terzo Millennio, nientemeno che di Citto Maselli, raggiunge l’incasso astronomico di 5mila euro contro 1.321.613 investito naturalmente da Pantalone; Il popolo degli uccelli di Rocco Cesareo va alla deriva con 2mila euro di botteghino e un finanziamento di 600mila euro; per non dire di L’amante perduto di Giorgio Treves che si assesta a 112mila euro da biglietti contro i quasi tre milioni ricevuti in grazioso dono. E’ persino impietoso continuare in questo elenco sterminato che comprende grandi firme e illustri sconosciuti. Per uno che va bene o benino ce ne sono sette o otto disastrosi. Le commissioni che distribuiscono i fondi ne combinano di tutti i colori: spesso disseminano finanziamenti senza costrutto e talora riescono persino a non dare un euro a pellicole che si dimostreranno all’altezza del mercato. La più incredibile accadde regnante Giovanna Melandri: scartarono L’ultimo bacio di Muccino e “pomparono” tre milioni di euro per Vipera di Sergio Citti (12mila in biglietti). Le scelte del pubblico furono diametralmente opposte.

E che dire della storia grama dei produttori italiani? Sono scomparsi. Di forte c’è rimasto solo Aurelio De Laurentis con i prodotti alla Vanzina, tanto sbeffeggiati dalla critica per quanto gratificati al botteghino.

Piantiamola qui con i numeri. E’ chiaro infatti che si tratta di sprechi insopportabili che invece di aiutare il cinema, lo affossano sempre di più. Più infatti è cresciuto nel tempo il meccanismo assistenziale e meno film di qualità sono stati sfornati. La creatività decresce mentre sale la subalternità politica: se i soldi non arrivano dal mercato ma dallo stato, occorre che il progetto di film piaccia a chi governa e non agli spettatori. Intendiamoci, anche negli altri paesi esiste la pratica della sovvenzione pubblica e il nostro cinema ha ricevuto danaro dallo Stato a partire dal lontano 1965 (legge del socialista Corona). Qual è allora la differenza? Prima del provvedimento del ’94 (governo Ciampi), ritoccato poi dal ministro Veltroni (1996), i finanziamenti non erano a fondo perduto, ma andavano restituiti. Quindi, tutto sommato, si trattava di una partita di giro. Con gli ultimi due interventi invece questo obbligo è stato ampiamente cancellato: una cifra che oscilla fra il 70 e il 90 per cento della sovvenzione non rientra più nelle casse dello Stato. Insomma, una costosa cuccagna costruita dalla sinistra. Interrotta solo da alcuni provvedimenti del ministro Urbani varati nel 2004. Allora ci si accorse che non c’era più una lira e che bisognava mettere un freno alla sprecopoli di celluloide. Il mondo dello spettacolo se la legò al dito: fiaccolate e manifestazioni davanti al Parlamento in difesa della cultura. Minacciata ovviamente da Berlusconi e compagni.

Quella descritta sin qui è solo una parte del danaro pubblico speso per il cinema. Ci sono poi tutti i finanziamenti per feste e festival: ormai sono centinaia. Le responsabilità della crisi sono inoltre da ricercare anche fra la critica militante e di sinistra, nonché fra alcuni personaggi politici super gettonati in questa fine estate. Un nome su tutti: Walter Veltroni.