L’assoluzione del Cardinal Pell e la sua lezione (sempre attuale) sull’«economia divina»

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L’assoluzione del Cardinal Pell e la sua lezione (sempre attuale) sull’«economia divina»

L’assoluzione del Cardinal Pell e la sua lezione (sempre attuale) sull’«economia divina»

08 Aprile 2020

Verdetto unanime. I sette giudici dell’Alta Corte australiana hanno prosciolto da tutte le accuse il Cardinal George Pell, ribaltando le precedenti condanne e ponendo fine ad un calvario giudiziario durato alcuni anni. La Corte d’appello dello Stato di Victoria un anno fa aveva infatti condannato il cardinale e arcivescovo australiano ad una pena detentiva di 6 anni, di cui 3 anni e 8 mesi da scontare in carcere.

Le accuse contro l’Arcivescovo emerito di Sydney, chiamato nel 2014 direttamente da Papa Francesco a presiedere la Segretaria per l’Economia della Santa Sede, erano da tempo contestate e giudicate manifestamente infondate da molti i quali avevano avuto modo di visionare gli atti di un processo che, mediaticamente, sembrava aver istituito un Tribunale della Rivoluzione contro la Chiesa cattolica in Australia, piuttosto che volere contrastare l’orrenda piaga della pedofilia. Ed erano molti a pensare che Pell fosse solo diventato un capro espiatorio.

Attorno al cardinale, nonostante tutto, si erano stretti in solidarietà con la preghiera migliaia di fedeli in tutto il mondo.

L’unica base per la giustizia è la verità, un ringraziamento speciale per tutte le preghiere e le migliaia di lettere di supporto. Voglio ringraziare la mia famiglia per il loro amore,  la mia gratitudine a tutti i membri del mio team legale per la loro ferma determinazione nel far prevalere la giustizia, gettare luce sull’oscurità fabbricata e rivelare la verità” ha dichiarato Pell, ora libero, che ha aggiunto: “sono a conoscenza dell’attuale crisi sanitaria. Sto pregando per tutte le persone colpite e il nostro personale medico in prima linea”.

Ma chi è l’ex «Economo» del Santo Padre e perché tanto odio?

Il Cardinal Pell, chiamato da Bergoglio nel dicastero che avrebbe dovuto favorire la riforma delle strutture economico-finanziarie della Santa Sede, è sicuramente un grande conoscitore dell’«economia divina», cioè l’economia vista alla luce della fede cattolica.

Memorabile, in particolare, una sua lectio magistralis nel 2015 al Meeting Rimini, dal titolo “Chiesa e Denaro”.

La chiesa è ancora fedele agli insegnamenti di Gesù su povertà e ricchezze o forse invece questo atteggiamento è cambiato nel corso dei secoli?” si chiedeva appena cinque anni fa alla kermesse riminese l’allora Prefetto della Segreteria per l’Economia.

“Dopo diversi decenni di sacerdozio– aggiungeva Pell – sono rimasto sorpreso nel leggere l’affermazione secondo la quale Nostro Signore Gesù Cristo aveva condannato le ricchezze”.

Pell aveva ben chiaro il confine tra il piano dell’immutabile e quello del relativo, centrale per capire anche lo sviluppo dell’economia illuminata dalla fede.

Quella cristiana è una religione rivelata e non si tratta di una teoria scientifica né economica e nemmeno filosofica” sottolineava nella sua premessa il cardinale australiano, “la religione ci è stata rivelata da Dio attraverso la parola di Gesù e degli apostoli, ha un’autorità unica, un’autorevolezza unica proprio per questa origine divina e non si tratta meramente del frutto dell’elaborazione concettuale umana. Abbiamo quindi il Magistero e l’insegnamento per garantire che quello che viene insegnato oggi sia lo stesso rispetto agli insegnamenti trasmessi da Gesù”.

Prendendo spunto dalla distinzione del filosofo greco Eraclito tra i cambiamenti sostanziali e i cambiamenti accidentali, fortuiti, quelli che riguardano quantità, qualità o capacità o entità delle cose, affermava solennemente l’allora Economo di Sua Santità: “Dio non cambia, così come le realtà matematiche non cambiano, anche quando la nostra comprensione di questi principi deve essere modificata alla luce di nuove conoscenze acquisite (…) le dottrine religiose cattoliche centrali non cambiano in modo sostanziale anche quando intervengono cambiamenti fortuiti, così come quando l’acqua si trasforma in ghiaccio o in vapore.”

La premessa, insomma, è chiara: la dottrina è immutabile, perché rivelata da Dio e trasmessa dagli apostoli attraverso i loro successori. Non evolve adattandosi allo spirito dei tempi come pensano i modernisti vecchi e nuovi, bensì si sviluppa come insegnava già il santo Henry Newman. “Alla luce di queste distinzioni – continuava Pell –  possiamo tornare al nostro tema di Dio e delle ricchezze della Chiesa e del denaro”.

La Chiesa condanna davvero le ricchezze, o piuttosto il loro cattivo utilizzo? Pell prendeva spunto dalla storia del giovane ricco: “Gesù disse a lui che se voleva essere perfetto avrebbe dovuto disfarsi di tutti i suoi beni e dare il ricavato ai poveri. Il giovane però non fu in grado di raccogliere questa sfida”.

“Gesù continuò e raccontò ai suoi discepoli stupiti che era più semplice per un cammello passare per la cruna di un ago piuttosto che per un uomo ricco entrare nel regno di Dio” tuttavia, sottolineava subito Pell “Dio poteva rendere questo possibile, anche se era impossibile riuscire nell’impresa senza l’aiuto di Dio.”

Perché la cruna dell’ago? “Gesù si servì con grande bravura delle iperboli, utilizzando immagini efficaci per catturare l’attenzione dei suoi ascoltatori, con queste immagini riusciva a far sì che le persone si confrontassero con verità scomode e capire che cosa significavano rispetto alla loro vita e alla società in generale. La cruna dell’ago è un esempio chiarissimo ed emblematico di questo uso delle immagini”.

Nel Vecchio Testamento, ricorda ancora Pell, la povertà non era vista come un ideale da scegliere. “La terra promessa doveva essere fertile, traboccare di cose buone, di latte e di miele. Dio arricchisce le persone che ama come Abramo, Isacco, Giacobbe e anche Giobbe torna alla prosperità dopo le sue sofferenze e patimenti” notava nel suo discorso il cardinale.

Gesù mette in guardia dall’avidità, perché la vita non è definita da quello che possediamo. Invece il valore di una vita consiste nell’essere ricco per Dio”: Pell ricordava così ai partecipanti della kermesse il vero significato della povertà in spirito, che non corrisponde all’esaltazione della miseria materiale fatta da certa ideologia pauperista.

“La parabola di Lazzaro mostra chiaramente quello che è necessario in questa vita e quello che invece sarà ricompensato o punito nell’aldilà. L’uomo ricco aveva vesti di porpora e di bisso e faceva un pasto sontuoso ogni giorno. Ignorava completamente Lazzaro coperto di piaghe, piaghe leccate dai cani, che viveva ai margini della sua residenza e si nutriva dei resti dei suoi sontuosi banchetti. Quando entrambi i personaggi morirono, Lazzaro fu accolto in seno ad Abramo mentre il ricco fu condannato ai tormenti dell’Ade e separato da quelli dall’altra parte da una grande voragine.”

Per il Cardinal Pell la lezione è chiara. “Gesù lavorava con individui che erano ricchi purché fossero giusti e generosi. Accettò anche l’invito di Zaccheo di cenare con lui.”

Nel discorso del porporato australiano, a questo punto, compare addirittura il Primo ministro inglese Margaret Thatcher, “vera e propria precorritrice delle riforme economiche del libero mercato” sottolineava sempre Pell. La quale affermò “che senza un capitale sufficiente, senza una ricchezza significativa, il buon samaritano non sarebbe stato in grado di aiutare l’uomo che era stato picchiato, derubato e lasciato sul bordo della strada.”

Ma Pell va oltre, e rintraccia lo sviluppo della moderna economia di libero mercato nei progressi storici in seno alla cultura e alla civiltà cristiana.

“Oggi solitamente definiamo l’usura come l’applicazione di un tasso di interesse esorbitante su un prestito” sottolineava sempre nella sua lectio riminese Pell ricordando le condanne morali dell’usura nel Catechismo della Chiesa cattolica e nel Compendio di Dottrina sociale della Chiesa. “Tuttavia qualsiasi versamento di interessi era proibito nelle chiese cristiane, e più in generale questo fu proibito fino al XIX secolo.”

La vecchia visione di origine aristotelica prevalente fino ad allora nella Chiesa, “sosteneva che il denaro non si riproduceva e non poteva quindi riprodurre la propria specie, a differenza invece delle scimmie o degli alberi (…) Il denaro non è fertile e quindi per un banchiere accumulare ricchezza da un prestito era contrario alla natura. Quindi applicare interessi su un prestito era applicare qualcosa in cambio di nulla.”

Il ruolo del denaro, secondo George Pell, “almeno nelle società occidentali, ha cominciato a cambiare verso l’XI secolo”.

Fu il cristianesimo il motore dello sviluppo occidentale: “Dopo il crollo dell’impero romano l’Europa occidentale non era economicamente avanzata come l’Impero cristiano d’Oriente e anche i regni dell’Islam. Tuttavia, più avanti nel medioevo, con la diffusione delle riforme cluniacensi dei benedettini in Europa, la rivitalizzazione del papato e l’espansione dei Normanni in Terra Santa, in Inghilterra, verso l’Italia e poi in Sicilia, ci fu anche un aumento degli scambi commerciali e questo portò una scarsità di argento e oro.”

Il cambio di paradigma monetario fu prodotto dagli eventi storici: “A quell’epoca era pericoloso e difficile trasportare metalli preziosi per centinaia e migliaia di chilometri. Quindi coloro che scambiavano monete dovevano garantire che non venissero svalutate. Anzi, tenevano dei depositi per i loro clienti e quindi tenevano una sorta di contabilità sui vari scambi commerciali per i loro clienti. L’aritmetica espressa in banconote cominciò a sostituire le monete vere e proprie. Questo richiedeva anche fiducia e così nacque il sistema bancario. Quest’eccedenza di denaro, quindi il capitale, di una piccola élite, non veniva più accumulato in modo improduttivo ma veniva messo a disposizione di altri per poter essere utilizzato.”

Stava nascendo il capitalismo, checché ne pensino i seguaci della tesi protestante di Max Weber. “Molti monasteri benedettini, nel corso dei decenni, furono esempi di questa forma di capitalismo del lavoro allo stato embrionale”. Attorno ai monasteri “le città e anche le università cominciarono a svilupparsi”. Per utilizzare questo denaro “i bancari applicavano una commissione per il loro servizio, ma questa commissione non veniva descritta né come interesse né come usura. In queste condizioni mutate, i pensatori cominciarono a rendersi conto che il denaro effettivamente poteva essere fertile e avere un valore temporale.”

La nascita di “una forma rudimentale di pensiero morale cristiano sull’economia” non era un destino ineluttabile ma atteneva ai cambiamenti del nuovo contesto storico. Ad ogni modo, proseguiva Pell, “non deve sorprendere che tutti questi sviluppi e anche queste svolte intellettuali furono fatte dal clero stesso”. Uno sviluppo che “cominciò e continuò anche sullo sfondo di insegnamenti ufficiali della Chiesa, ostili all’usura”.

Il parallelismo si impone: “all’inizio di questa forma di proto-capitalismo, l’ascesa e la diffusione delle banche è simile a quella che oggi potremmo paragonare a un’economia di mercato”.

“Fui molto sorpreso” ribadiva ancora l’ex Economo di Sua Santità “dallo scoprire che molti dei primi teorici economici furono dei francescani seguaci di San Francesco d’Assisi, il poverello, il santo davvero conosciuto forse più di tutto per la sua povertà personale, la sua scelta radicale.”

I francescani i veri padri dell’economia di mercato, un tema molto interessante specialmente ora che si avvicina “The Economy of Francesco”.

Pell non mancava di dettagliare questo progresso storico fino ricordarne i suoi stessi autori: “il francescano Pietro Olivi, che morì nel 1298, scrisse nel De contractibus usuraris: la proprietà o il denaro utilizzati per generare un guadagno ha «una certa qualità seminale di generare del profitto», qualcosa che chiamiamo comunemente capitale” e quindi “non solo bisogna restituire il valore dell’oggetto, ma bisogna anche restituire un valore aggiunto”.

Un secolo o quasi dopo, “San Bernardino da Siena, scrisse che era legittimo per i creditori applicare interessi sui prestiti, adottando a poco a poco il pensiero di Olivi, quindi il profitto o, meglio, il cosiddetto costo di opportunità. Dal XIV secolo in poi i francescani misero in pratica quello che insegnavano, creando delle società di prestito che davano ai poveri piccoli prestiti, si chiamavano mons pietatis e originariamente furono fondati grazie a donazioni di ricchi cristiani.

E così attraverso queste unioni creditizie in tutta Europa, nacquero le banche. “Il Monte dei Paschi di Siena fu fondato nel 1472 e continua oggi come una delle più grandi banche italiane. Tutto questo costituì un importante contributo iniziale allo sviluppo degli strumenti per creare la prosperità moderna.”

Fu un tradimento dell’originario pensiero di Gesù?

No, secondo George Pell: “l’insegnamento di Gesù ha un riferimento interessante al tema degli interessi. Nella parabola dei Talenti, il padrone rimprovera e redarguisce il servo; lo rimprovera come pigro, depravato”, perché “aveva seppellito il suo talento senza fare nulla. Non era stato sprecato, né gettato via, semplicemente conservato. Il padrone lo redarguì dicendo: «Avresti dovuto depositare il denaro presso i miei banchieri, cosicché avrei potuto recuperare il mio capitale con un interesse. Ebbene prendi il talento e dallo all’uomo che ha dieci talenti . Considerando l’uso regolare fatto da Gesù di questi esempi inusuali nelle sue parabole, non possiamo concludere che egli approvasse l’applicazione di interessi, ma comunque era sicuramente a conoscenza di questa pratica. Lo sfruttamento del povero ovviamente è condannato, ma il Nuovo Testamento non sviluppa nessun insegnamento specifico sull’applicazione di interessi sull’usura.”

È il pensiero gnostico, non cristiano, a condannare la ricchezza materiale in sé e per sé.

Concludeva allora Pell “i cristiani non sono manichei, non pensano che la materia o la carne siano il male; fanno parte della creazione divina. Mentre Gesù insisteva regolarmente sul primato della sfera spirituale, sull’importanza dell’aldilà, né le ricchezze né l’arricchimento sono vietati: le ricchezze sono una benedizione ambigua, pericolosa, seduttiva.”

Esattamente quello che intendeva San Giovanni Paolo II, il pontefice che sconfisse la bestia collettivista, quando sosteneva che il capitalismo è un segno di contraddizione.

È nelle conclusioni stesse di Pell: “molti diventano avidi a causa del successo finanziario. L’avidità può cominciare a farsi strada in modo silente e surrettizio, lentamente. E spesso la generosità è la migliore risposta a questa tentazione, all’insorgenza silente di questa cecità e insensibilità”.

Ce lo ricordano le elargizioni generose di tanti capitalisti proprio nella emergenza da pandemia che stiamo vivendo in queste settimane. Ma attenzione, Pell diceva anche: “il cristianesimo ha un approccio specifico diverso da quello dei filantropi non credenti. Gesù insegna che il primo comandamento è quello di amare l’unico vero Dio, trascendente, invisibile, mentre il secondo ci chiede di amare il nostro prossimo con le azioni”.

“Questo comandamento è come il primo e deriva proprio da questo il fatto che non si può sostituire la preghiera con qualsiasi attività umana, come la giustizia sociale. La giustizia cattolica e il lavoro caritatevole sono sempre cristocentrici.

Il pauperismo ignorante, invece, è una minaccia per la Chiesa: “è pericoloso e moralmente sbagliato quando un leader della chiesa, che si tratti di un sacerdote, di un vescovo o di un superiore religioso, sia soddisfatto dal semplice fatto di non curarsi dell’aspetto economico perché afferma di non capire il denaro. Questo lascia il campo sgombro agli incompetenti e ai furfanti.”

Pell in quella stessa lectio al Meeting di Rimini aggiungeva poi un’altra verità che ci viene suggerita anche dall’esperienza: “L’invidia veniva vietata dai comandamenti di Mosè, così come la menzogna, il furto e qualsiasi altra attività illegale” ma “per i cristiani la prosperità non è un segno certo della benedizione divina” (come crede l’americanismo, che è una vecchia eresia).

Ciononostante notava il cardinale “le persone oneste che lavorano sodo e che hanno buon senso si trovano tra i cristiani seri e, anzi, si possono trovare tra coloro che sono più prosperi. Le attività quindi che contribuiscono allo sviluppo umano più genuino devono essere incoraggiate e lodate.”

Lo stesso George Pell dichiarerà qualche anno più tardi, nel 2017, in un’altra tavola rotonda, che “l’economia di mercato è qui per restare, per essere studiata e migliorata”.

“Al momento” non vi sono “modelli migliori disponibili. Il mercato ha la capacità di modernizzarsi dopo massicce perturbazioni come quelle della grande crisi finanziaria mondiale del 2007-2008”, esso di per sé “non produce l’alienazione di massa predetta da Marx.” Piuttosto “il tallone di Achille del capitalismo moderno è il settore finanziario”.

C’è un legame tra la stagnazione economica e una demografia in declino, ad esempio dove ci sono troppo pochi contribuenti per finanziare il benessere e le pensioni?”.

Un tema quest’ultimo ben noto a molti economisti e che rivela infondato il neo-malthusianesimo, ideologia condannata ripetutamente dalle encicliche di tutti i papi susseguitisi negli ultimi decenni.

“Ogni società ha bisogno di trovare uno scopo, fiducia e speranza, e di ispirare le persone ad essere buone, laboriose ed oneste”. Ma questo “non può realizzarsi se non chiedendosi quali principi etici di fondo sono alla base del rapporto tra imprese e una buona società”.

Quale compito aveva in quest’ambito la Chiesa secondo l’Economo della Santa Sede? “Far emergere giovani imprenditori che contribuiscano alla crescita sostenibile, specialmente attraverso la creazione di posti di lavoro”.

Sembra attualissimo.