L’asta sulle frequenze? Un avvertimento del Governo al Cav.
19 Dicembre 2011
di Ronin
Dice il ministro Passera citato dai Republicones che, a prescindere dall’entità dell’incasso, qualunque somma verrà raccolta dalla vendita delle frequenze sarà sempre meglio di niente. Che può anche essere una filosofia di governo, raccogliere soldi ovunque è possibile, ma che espone Passera stesso a molteplici rischi, di natura economica, giuridica e ovviamente politica. Primo, l’impianto del Beauty Contest che prevedeva, anzi, ancora prevede (visto che al di là delle dichiarazioni di intenti ancora nulla è stato fatto nella direzione opposta) la cessione gratuita delle frequenze non se lo è inventato Berlusconi ma è stato concordato insieme con l’Unione Europea ed è una procedura in linea con altri Paesi, per favorire gli investimenti degli operatori e il passaggio dall’analogico al digitale.
In teoria, questa mossa avrebbe dovuto avvantaggiare anche gli operatori più piccoli, garantendo una maggiore competizione, ma al di là del fatto che non conosciamo quale sia la portata effettiva della domanda e l’entità degli investimenti dei player in campo, bisogna aggiungere che nella previsione di un’asta (anzi, chiamiamola per quello che è, di una tassa messa dallo Stato sulle frequenze) diventa difficile ipotizzare cosa accadrà. Passera, consapevole che parliamo di un mercato maturo e che non "tira" poi chissà quanto, ha anche spiegato che le frequenze messe in vendita potrebbero essere quelle per la tv su telefonia e Internet: è vero che l’ultima asta sulla telefonia è andata bene ma in questo caso andrebbe ridefinito con attenzione il sistema, cosa attiene alle frequenze per la tv e cosa a quelle per le telecomunicazioni (in cui rientrano Internet e telefonia), valutando di nuovo la reale entità della domanda. Nella vexata questio delle frequenze si sparano molte cifre a caso (Gentiloni ha detto che dall’asta si potrebbero incassare fino a 2 mld di euro) ma a sentire gli esperti c’è un certo scetticismo sul reale introito di una operazione del genere: non miliardi bensì qualche centinaio di milioni di euro.
C’è poi un altro piano che forse è ancora più scivoloso di quello economico. Il nostro ordinamento giuridico (e anche quello comunitario) prevede infatti il principio del "legittimo affidamento" che tutela quei soggetti privati che si sono fidati, diciamo così, dell’amministrazione pubblica e dello Stato i quali poi risultano inadempienti, provocando un danno agli investitori. Come dire, il governo italiano, d’accordo con la Ue e con l’AGI, dice che le frequenze saranno concesse gratis, i player si organizzano di conseguenza facendo i loro legittimi bussiness plan e piani di sviluppo, poi però il governo cambia le carte in tavola e indice l’asta: risultato, un malloppo di ricorsi (compreso quello di Mediaset, perché no?), destinati, uno, a ingolfare il sistema, e due, ben più grave, a disincentivare quei (pochi) investitori stranieri che a quel punto si chiederebbero: ma come funzionano le regole del gioco in Italia? Chi ce lo fa fare ad investire in un Paese dove non c’è la certezza del diritto?
Infine, last but not least, c’è la politica. Secondo Berlusconi, indire l’asta sarebbe la prima vera legge ad personam contro di lui. L’ex ministro Romani rincara la dose: "Il governo fa un’analisi superficiale della situazione e si ricordi che è sostenuto da un partito (il PdL, Nda) che ha un’idea precisa sul tema delle frequenze". Minacce a Monti?, si chiedono d’istinto i Republicones rimasti orfani del Cavaliere. Ma in realtà, a voler malignare, la vera minaccia forse nasce proprio dalla mossa di Passera: dicono che il Cav. abbia sofferto più di un mal di pancia dopo l’insediamento dei Tecnici e con la manovra. Ed ecco che Monti & Co., con l’asta sulle frequenze, e cioè con un provvedimento dal sapore leggermente ritorsivo, lanciano un messaggio chiaro al Cav.: o con noi o contro di noi.