L’attacco in Libano è un messaggio alla comunità internazionale
30 Maggio 2011
L’attentato che ha colpito un veicolo dell’Unifil nei pressi della città di Sidone, ferendo sei militari italiani, ha riacceso i riflettori della politica italiana su una missione che, a detta di molti, ormai sembra non avere più un chiaro e ben preciso end state. Le reazioni del Ministro Calderoli hanno riaperto un dibattito, solo rimandato dal voto delle amministrative, su una complessiva riduzione dei nostri contingenti militari all’estero. Tale argomento, pur se giustificato da una motivazione prettamente economica dei costi di questo tipo di missioni sulle casse dello Stato, andrà però affrontato partendo da una nuova visione politico strategica del nostro paese che dovrà necessariamente rivedere il contesto e le priorità nello stabilire la nostra partecipazione alle missioni di peacekeeping.
A quanto però si apprende dalle stesse forze politiche libanesi, in particolar modo dalla coalizione del 14 Marzo ma non solo, la riduzione del contingente italiano e dell’Unifil desta non poche preoccupazioni. Proprio lo scorso mercoledì, intervistando il portavoce di Hezbollah, Seyyed Ibrahim al –Mousawi, giunto in Italia per una breve visita, avevo avuto modo di chiedere un giudizio sulla presenza dei militari italiani dell’Unifil e il portavoce del Partito di Dio aveva espresso la gratitudine e l’apprezzamento della popolazione per l’operato dei nostri militari nel Sud del Libano. A conferma di queste parole lo scorso sabato sul canale satellitare Al – Manar, l’emittente di Hezbollah, il Partito di Dio comunicava la propria posizione ufficiale considerando l’attentato contro le forze dell’Unifil un atto criminale. In queste ore però sembra prendere piede l’ipotesi che dietro all’attentato ci possa essere un messaggio rivolto alla comunità internazionale, impegnata proprio lo scorso venerdì, a condannare la dura repressione siriana.
Questa pista infatti sembrerebbe esser più accreditata rispetto all’ipotesi che vedrebbe come esecutori dell’attentato alcune cellule vicine alla galassia di Al Qaida. Queste troverebbero riparo e protezione all’interno di uno dei più grandi campi profughi palestinesi presenti in Libano, Ain el – Helwe, situato vicino al luogo dove è esplosa la bomba che ha messo a repentaglio la vita dei sei militari italiani. Ma il Libano, come sempre, è anche il paese dove si intrecciano diversi interessi e strane linee del terrore, tanto che addirittura qualcuno ha voluto vedere dietro l’attentato la mano di Gheddafi, intenzionato a colpire in questo modo sia l’Italia, ma anche gli stessi Hezbollah, che con il rais libico hanno un conto aperto da quando nel 1978, questi fece sparire in circostanze ancora oggi mai chiarite, il leader sciita Moussa Sadr. Va precisato che la mano di Gheddafi è stata sospettata di essere dietro anche allo strano sequestro dei sette estoni scomparsi nella valle della Bekaa, al confine con la Siria. Nel giro di pochi mesi sembra infatti che alcune forze e stati direttamente coinvolti nella politica libanese abbiano ricominciato a riproporre un tristemente noto linguaggio di comunicazione con la comunità internazionale. Un linguaggio che ci riporta indietro nel tempo all’epoca dei sequestri di occidentali e agli attentati di Beirut contro i contingenti multinazionali.