Laudati: “Si discute di intercettazioni perché non viene tutelata la privacy”
02 Agosto 2010
“La giustizia in Italia è disomogenea. A Torino occorrono tre mesi per una sentenza mentre a Bari ben tremila giorni”. E’ quanto ha affermato Antonio Laudati, Procuratore della Repubblica di Bari intervenuto ieri sera a “Gli incontri del Melograno” sul tema “Giustizia: meglio organizzare prima di riformare”. A moderare il dibattito il giornalista di Antenna Sud Gian Vito Cafaro.
“Il livello di criminalità nel nostro Paese è tra i più elevati e in corrispondenza abbiamo il sistema giudiziario peggiore. Non è civile un Paese che impiega ben 15 anni per restituire un credito ad un imprenditore che si rivolge al giudice. Ogni anno abbiamo 3 milioni di reati: di questi l’80% rimane a carico di ignoti e le sentenze vengono erogate in tempi lunghissimi. L’unica sanzione così è il processo e la gogna mediatica. Da qui la degenerazione con il mondo dell’informazione e la politica”.
Non è mancato quindi di sottolineare l’importanza con gli organi di stampa. “Quando sono arrivato a Bari”, ha affermato Laudati”, mi sono trovato in una sorta di circo mediatico. Deve cambiare la prassi dell’informazione, abituata alla ricerca di scoop e documenti. Il rapporto tra Procuratore e giornalisti deve essere proficuo ed efficace. Non dobbiamo catturare solo latitanti, ma anche l’attenzione del cittadino e in questo il rapporto con gli operatori dell’informazione è molto importante. Tutti però devono fare la propria parte. Dopotutto le fughe di notizie dipendono dagli uomini e se fossimo stati più bravi a tutelare il segreto e a non fornire informazioni sulla vita private delle persone, oggi non staremmo a discutere di intercettazioni telefoniche”.
Si è parlato poi di riforma della giustizia. “La vera riforma è di tipo culturale, a favore della trasparenza e dell’economia, che è il vero presupposto della democrazia. La giustizia è il valore su cui le democrazie
moderne costruiscono il loro modello di vita”. Laudati si è soffermato anche sui problemi dell’edilizia giudiziaria, che ha considerato una priorità assoluta.
Il Procuratore però, considerata la serietà degli argomenti, ha spezzato il rigore del tema coinvolgendo il pubblico con un test sulla capacità di ognuno di decidere con il proprio metro di giudizio sulle scelte in ambito giudiziario. Ne è emerso che ognuno valuta in base alla propria cultura, al proprio sentimento e non può esserci una decisione univoca a cui un magistrato possa fare riferimento. E’ stata una sorta di prova attitudinale che Laudati ha ripreso dal nuovo libro del premio Nobel Amartya Sen, “L’idea di giustizia”, secondo il quale la giustizia appunto ha a che fare con la vita vissuta delle persone, non soltanto con la natura delle istituzioni che le circondano. Pertanto la giustizia non può essere demandata solo ai magistrati, ma deve coinvolgere anche la società civile.
“Negli ultimi anni”, ha continuato, “è stata terreno di scontri. Abbiamo avuto un confronto serrato con la classe politica e spesso il dibattito è degenerato. La magistratura ha commesso degli errori, ma poichè ha strumenti giuridici forti ha tutte le capacità per attivare un’autodisciplina”. Laudati ha poi chiarito il perché nel corso di un’operazione dei giorni scorsi nei confronti del clan barese Strisciuglio, lo abbia definito socialista. “Mi riferivo solo ed unicamente al sistema di distribuzione della ricchezza del clan, un vero modello organizzativo vincente che ha sgominato gli altri”. Ha concluso il suo intervento con un insegnamento di Montesquieu, l’inventore dello Stato moderno, secondo il quale non sono le leggi che rendono buoni gli uomini, ma sono gli uomini buoni che possono fare buone leggi.
In questo, secondo Laudati, consiste il futuro della democrazia.