L’Australia flagellata dall’uragano Yasi sarà un’altra catastrofe dimenticata?
12 Febbraio 2011
Tetti volati via, finestre esplose, case crollate come castelli di carta, 1.600 ettari di boscaglia inceneriti. Il Queensland, già piagato dalle terribili inondazioni che hanno provocato danni per 5,6 miliardi di dollari australiani e la morte di 35 persone, e si è trovato a fronteggiare un’altra catastrofe naturale di enormi dimensioni, causata da quello che molti hanno definito “il gemello di Katrina”. Il suo nome è Yasi ed è la tempesta più potente che abbia mai colpito l’Australia dal 1908.
Il tornado, classificato dal Bureau of Metereology come forza cinque, ha un diametro di 500 chilometri e nel Pacifico ha imperversato con venti fino a 300 chilometri orari. Dopo aver toccato terra spazzando centinaia di chilometri di costa, Yasi si è diretto verso l’interno, perdendo di intensità ma lasciando dietro sé piogge torrenziali nelle già saturate zone agricole o minerarie della zona. Circa 7000 persone restano ricoverate in centri di evacuazione e in 170mila sono attualmente senza elettricità e acqua corrente, ma non si sono registrate vittime.
Come se non bastasse, però, da meno di una settimana infuriano incendi boschivi all’altra estremità del continente, nei sobborghi di Perth in Australia occidentale riducendo in polvere 59 abitazioni e danneggiandone altre 28. Il rogo più violento si è registrato domenica scorsa sulle colline a sudest della città e domarlo è stata un’impresa titanica a causa delle impetuose raffiche di vento che hanno ostacolato gli sforzi dei vigili del fuoco.
Le catastrofi naturali – sono da segnalare i gravissimi i danni alle coltivazioni di canna da zucchero e di banane, di cui il nord Queensland fornisce rispettivamente il 15 e il 90% della produzione nazionale, con perdite di molte centinaia di milioni di dollari – potrebbero provocare, a detta del ministro delle Finanze australiano, Wayne Swan, una contrazione dell’economia nel primo trimestre.
Come succede solitamente in queste occasioni, è emersa la questione aiuti. Il premier Julia Gillard – che nella prima sessione del 2011del Parlamento di Canberra non è riuscita a trattenere le lacrime nel ricordare le vittime delle inondazioni – ha rifiutato di commentare speculazioni secondo cui la tassa di solidarietà da 1,7 miliardi di dollari australiani, annunciata nei giorni scorsi per aiutare la ricostruzione del Queensland, verrà aumentata per far fronte a questa nuova calamità. Sul fronte degli aiuti internazionali, Obama qualche giorno fa ha avuto una lunga riunione alla Casa Bianca, con il ministro della Sicurezza interna Janet Napolitano e i vertici della Fema (l’agenzia della Protezione civile) per mettere a punto il coordinamento dei soccorsi per limitare i danni di una perturbazione che ha provocato la cancellazione di oltre 10 mila voli. Chissà se potremo inserire questa catastrofe naturale nella lista dei disastri dimenticati, sulla scia di Haiti e Pakistan.
L’Australia, però, nonostante sia stata sferzata negli scorsi giorni da uno dei tornadi più violenti degli ultimi cento anni, non è mai stata risparmiata negli scorsi decenni dalla devastazione di feroci cicloni. Nel 1974 Tracy si è abbattuto nei territori del Nord, causando la morte di 61 persone. Nel 2006 è stata la volta del terribile Larry che, con venti fino a 250 chilometri all’ora, ha devastato il nord del Queensland, provocando danni per 1,5 miliardi di dollari.
Quello che più spaventa è che la stagione dei disastri non sembra essere finita per la “terra dei canguri”: secondo Chris Ryan, direttore del Centro nazionale meterologico oceanografico australiano, ci sono delle buone possibilità che un altro tornado si abbatta sul continente australiano prima che la stagione stiva sia finita.
Come spiegare il perpetuarsi di tali fenomeni? Gli ambientalisti parlano di “Armageddon da riscaldamento globale”. Gli esperti di clima spiegano che l’effetto serra e le conseguenze della Niña – un fenomeno climatico periodico, che porta più pioggia nel Pacifico occidentale, e meno nel Sud America e Pacifico orientale –, sono una realtà, non più una semplice minaccia. Basta pensare a quello che sta succedendo in America, di nuovo in tilt per quella che viene ancora una volta ribattezzata la “peggiore tempesta di neve da decenni”.