L’autunno caldo di Rudy Giuliani
15 Novembre 2007
di redazione
Il destino presidenziale di Rudy Giuliani si è probabilmente deciso in questi giorni. Nella prima metà di novembre, infatti, si sono verificati due eventi – uno positivo, l’altro negativo – i cui effetti, a detta degli esperti, influiranno profondamente sulla campagna elettorale del sindaco d’America.
Andiamo con ordine. Il 7 novembre, Giuliani ha incassato l’insperato sostegno di Pat Robertson, esponente di punta della destra cristiana. “Una vera sorpresa”, è stato il giudizio unanime della stampa americana, visto che Robertson e Giuliani sono su posizioni diametralmente opposte su temi sensibili come aborto e unioni omosessuali.
La “strana coppia”, come l’ha definita il liberal New York Times, non è in realtà un inedito assoluto. Giuliani e Robertson sono infatti legati da un’amicizia personale nata durante un viaggio di ritorno da Israele nel 2003 e cementata dalla vicinanza di Robertson a Giuliani quando quest’ultimo dovette affrontare un tumore alla prostata.
L’endorsement di Robertson è dovuto soprattutto alle garanzie che The Mayor offre su tre punti forti per i Christian Conservative: lotta al terrorismo di matrice islamica, dimagrimento del governo federale, nomina di giudici conservatori. Su questa piattaforma, il frontrunner repubblicano ha conquistato il consenso di Robertson, nonostante le divergenze sulle questioni etiche.
Non tutti nel movimento conservatore di ispirazione cristiana hanno gradito tale scelta, mentre c’è chi sottolinea che il settantasettenne Robertson non ha più la presa di una volta sullo zoccolo duro del Grand Old Party.
Robertson controlla, comunque, il canale televisivo Christian Broadcasting Network, che con il suo milione di telespettatori al giorno rappresenta una tribuna di tutto rispetto. Il sostegno dell’anziano leader dei Christian Conservative (a lungo cercato invano dall’altro candidato del GOP, Mitt Romney) mette Giuliani al riparo da una candidatura indipendente della destra religiosa.
“Nessun regalo per Hillary nel 2008”, è stato il commento di Lawrence Kudlow, consigliere economico di Ronald Reagan. Brucia ancora il ricordo della candidatura di Ross Perot, nel 1992, che tolse non pochi voti a Bush padre consegnando la vittoria al Democratico Bill Clinton.
Giuliani, che gli ultimi sondaggi ritengono in grado di battere Hillary Clinton, non ha fatto in tempo a festeggiare l’endorsement di Robertson che è arrivata una doccia fredda: l’incriminazione di Bernard Kerik, suo braccio destro a New York e socio in affari (in queste ultime ore è scoppiato anche un altro scandalo legato all’amante di Kerik, Judith Reagan).
I reati contestati all’ex capo della polizia newyorkese sono pesanti: frode fiscale, corruzione e falsa testimonianza. L’imbarazzo nell’entourage di Giuliani è forte. Kerik è ben più di un semplice affiliato al candidato repubblicano. La sua scalata è legata a doppio filo a Rudy Giuliani. Nel 1993, era semplicemente il suo autista.
Sette anni dopo, Police Commissioner di New York City. Quindi, quando Giuliani ha concluso il mandato di sindaco, Kerik è entrato nella sua società di consulenza per poi fondarne una in partnership con The Mayor.
Nel 2004, Giuliani sponsorizzò la nomina di Kerik a capo del Dipartimento per la Sicurezza Interna (Homeland Security Secretary). Bush si fidò e annunciò che Kerik era il suo candidato designato. Passarono pochi giorni e “l’uomo di Rudy” fu costretto a rinunciare perché erano emerse situazioni poco chiare sul fronte fiscale.
L’incriminazione di Kerik (rimesso in libertà su cauzione) ha offerto il destro a critiche roventi da parte degli avversari di Giuliani. Il più duro è stato John McCain, che ha anche censurato il comportamento “irresponsabile” di Kerik quando nel 2003 fu chiamato ad addestrare la polizia irachena. Incarico durato solo due mesi senza ottenere alcun risultato.
“Come possiamo fidarci delle capacità di giudizio di Giuliani”, si è chiesto il senatore dell’Arizona, “se non è riuscito a valutare correttamente un personaggio come Kerik ed anzi lo ha proposto per incarichi di primo piano?”. McCain ha centrato il bersaglio.
Giuliani sta infatti impostando tutta la campagna elettorale sulla sua leadership, su cui ora si allungano le ombre del caso Kerik. Giuliani è stato costretto alla difensiva. Si è scusato per non aver verificato in modo adeguato il comportamento del suo braccio destro, ma ha anche chiesto al popolo americano di valutare complessivamente i risultati da lui ottenuti prima come procuratore e poi come sindaco della Grande Mela.
Il processo a Kerik inizierà nelle prossime settimane e potrebbe durare mesi, spingendosi fino al cuore della sfida per la Casa Bianca. Sembra improbabile che Giuliani venga chiamato a testimoniare, ma la vicenda sarà una spina nel fianco dell’ex sindaco di New York.
Non tutti, però, condividono queste preoccupazioni. Il giornalista della rivista conservatrice National Review, Jim Geraghty, ricorda infatti che il passato poco cristallino di Kerik era già noto da almeno un paio d’anni e, tuttavia, Giuliani ha mantenuto la sua posizione di frontrunner del fronte repubblicano.
D’altro canto, sottolinea, se avesse sospettato i reati ascritti a Kerik non l’avrebbe mai indicato come capo del Dipartimento della Homeland Security. Giuliani può essere accusato di negligenza, ma non certo di connivenza. Hillary Clinton è avvertita.