L’autunno di Barack Obama (e l’inverno di Matteo Renzi)
22 Ottobre 2016
di Daniela Coli
All’estero abbiamo fama di spararle grosse, di avere una politica “bombastic” – dicono gli americani – però, nonostante la sbornia dei media governativi, non è stato uno speechwriter italiano a mettere in bocca a Obama i gorgheggi sul “Renzi giovane e bello”, esempio di “una nuova generazione di leadership per un’Europa forte”, che “sfida lo status quo con riforme coraggiose”. E’ opera di Ben Rhodes, il guru della politica estera di Obama, che scrive tutti i suoi discorsi dal 2007: famoso quello del Cairo del 4 giugno 2009, “A New Beginning”, l’inizio delle Primavere arabe, che dall’Egitto, alla Libia, alla Siria, hanno stravolto Medio Oriente e Africa, devastato da Isis, guerre e rivolte, e minato la presenza americana in questa importante parte del pianeta.
Tanto fallimentare è stata la politica estera di Obama che il fido “New York Times”, il 5 maggio 2016, l’ha definita un reality show, criticando il cerchio magico del presidente e prendendo di mira proprio il guru Ben Rhodes, un romanziere mancato, senza alcuna esperienza del mondo reale, senza neppure un master in relazioni internazionali, né conoscenza del mondo della diplomazia, tantomeno di quello militare. Il Ben Rhodes di Obama sembra uscito da House of Cards, dove Underwood arruola per i suoi discorsi lo scrittore-fuffa Thomas Yeats, autore di un bestseller rubato al roommate gay morto di Aids. Uno scrittore creativo, Ben Rhodes, secondo il NYT. Un “asshole”, ha rincarato la dose il giorno dopo l’autorevole “Foreign Policy”, sulla quale oggi campeggia un titolo eloquente: Donald Trump Can’t Undermine American Democracy Because it Barely Exists”.
Nel momento di declino più drammatico per gli Stati Uniti, “Foreign Policy” ripete quanto hanno affermato storici e scienziati politici come John P. McCormick, autore nel 2011 di Machavellian Democracy. Senza contare film, serie tv recenti come House of Cards, The Boss, The Good Wife – solo per citarne alcune – dove si mostra chiaramente come le elezioni presidenziali e locali vengano regolarmente truccate. Sorvolando su JFK, dicono eletto con i voti della mafia, negli ultimi quarant’anni registi democratici o repubblicani (si pensi ad Absolute Power di Clint Eastwood) hanno prodotto un’imponente quantità di film sulla dark side della democrazia statunitense, denunciando la mediocrità dell’establishment americano, evidenziata dalla crisi finanziaria del 2008, ma soprattutto da una politica estera fallimentare, con il risultato, dal Vietnam in poi, di aumentare enormemente il debito pubblico, fino a diventare dipendenti dalla Cina, subire sconfitte e provocare caos nel mondo.
Obama ha invitato Renzi all’ultima cena di Stato, perché è l’unico alleato rimasto agli Stati Uniti in Europa, il premier di un paese purtroppo accomunato quasi sempre alla Grecia dai media internazionali. Obama non poteva certo invitare il filippino Duterte, che ha insultato Barack al G20 in Cina; mentre Matteo volava all’ultima cena a Washington, il presidente filippino volava a Beijing dal presidente Xi Jinping, annunciando la fine dei rapporti con gli Usa e soprattutto la sospensione del rapporto petrolifero con gli americani nel mare della Cina meridionale. Così come a Xi Jinping non avranno fatto certo piacere le rivelazioni di Wikileaks su quanto Hillary Clinton nel 2013 ha detto a Golman Sachs, e in particolare su come Hillary pensa di fare diventare il mare della Cina Meridionale un mare americano. Hillary, in vena di spacconate, ha pure detto che gli Stati Uniti potrebbero addirittura rivendicare l’intero Oceano Pacifico. Non stupisce che Duterte sia stata invitato in Giappone a G20 e che il 25 ottobre sarà a Tokio, così come l’unico governo filostatunitense nel Sud est asiatico sia rimasto Singapore.
La politica estera degli Stati Uniti sembra davvero The Brink, la serie tv satirica HBO creata dai fratelli Roberto e Kim Benabib dove il presidente (Obama) e il suo cerchio magico si comportano come dilettanti allo sbaraglio. Per Ian Bremmer, scienziato politico statunitense, collaboratore di autorevoli testate, fondatore e presidente di Eurasia Group, il più grande errore della politica estera di Obama e Hillary è stata la riluttanza a riconoscere la Russia. Per quanto riguarda Wikileaks, Ian Bremmer dice agli americani su twitter che i russi cercano di delegittimare il governo degli Stati Uniti, “come noi facciamo con loro”. Per quanto riguarda gli ultimi attacchi cyber nella East Cost degli States, Bremmer dichiara sempre su twitter che non sono stati i russi, né che i russi vogliono un regime change negli Usa, ma solo dimostrare l’ipocrisia della politica americana.
Per Bremmer, gli Usa vanno aiutati a non distruggersi da soli. Perfino lo “Spectator”, il giornale britannico più antirusso, il 21 ottobre invita l’Ue e gli Stati Uniti a cessare le minacce di guerra contro la Russia. “Ogni giorno – scrive Rod Liddle sullo “Spectator” – aumentano le minacce contro la Russia. Certo, alcuni nostri militari preferiscono minacciare la guerra alla Russia, invece di combattere feroci bande di jihadisti nichilisti. I media avvertono che i missili Iskander sono situati in Polonia e vicino alla costa del Mar Baltico, per minacciare meglio la Lettonia e la grande popolazione russa. Ogni giorno i tabloid scrivono che jet russi stanno volando su e giù per le nostre coste. Come se non lo avessero già fatto per 70 anni e come se noi non avessimo ricambiato”. Anche per lo “Spectator”, la Guerra Fredda è finita.
Il “Guardian” del 21 ottobre attacca Renzi per il servilismo con Obama e rivaluta Berlusconi e lo paragona a Giovanni Giolitti: Berlusconi – ricorda il “Guardian” – spazzò via i vecchi partiti, fu votato dagli operai di Mirafiori e rinnovò completamente la vita politica italiana. Invita quindi gli americani a non allarmarsi troppo per Trump: anche Berlusconi fu deriso dalle élite, ma poi ha cambiato la vita politica italiana, tanto che Renzi, un leader di sinistra, imita Berlusconi.
La Gran Bretagna non vuole una guerra con la Russia. Sta per costruire insieme alla Francia, alleato della Russia, una grande centrale nucleare in Cina. Per quanto riguarda la Germania, difficile che i tedeschi vogliano sanzioni contro la Russia, visto che sono al governo con i socialdemocratici e Schroeder è il fondatore e il direttore di Nord Stream, il gasdotto che, attraverso il Mar Baltico, trasporta direttamente il gas dalla Russia in Europa. La politica russofobica di Obama e Clinton è osteggiata anche dal Pentagono: nel gennaio 2016 Samuel Hersh sulla “London Review of Books” scrisse un lungo saggio, dove rivelò che i comandanti in capo del Pentagono, la Cia e la Dia, in particolare il generale Michael Flynn (consigliere di Trump), da tempo, insieme a Germania e Israele, fornivano intelligence alla Siria di Assad, considerato l’unico elemento di stabilità nella regione.
Russia e Cina condividono con gli Stati Uniti lo stesso nemico jihadista, perché hanno all’interno dei propri confini regioni musulmane e temono infiltrazioni dei jihadisti. Obama – dicevano i top chiefs del Pentagono – vive ancora nel mondo della Guerra Fredda e aiuta gruppi islamisti come Al Nusra in funzione antirussa. Le dimissioni del generale Stanley McChrystal nel 2012 dopo un’intervista a “Rolling Stones”, dove criticava aspramente Obama, da questo punto di vista sono eloquenti. Forse la storia non sarà tanto gentile con Obama, come invece dichiara Renzi, perché Obama ha contribuito al declino degli Stati Uniti con una politica estera dannosa per gli stessi Stati Uniti d’America. Chi è amico degli Stati Uniti deve aiutarli a uscire dal mito dell’eccezionalismo e dell’impero globale. Purtroppo, questo non può farlo certo Matteo Renzi, che si presenta in Europa come l’Obama italiano e spera di ottenere così maggiore credibilità.