L’avanzata del Tea Party “Caucus” al Congresso degli Stati Uniti
03 Febbraio 2011
Lo si detto commentando il discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato il 25 gennaio dal presidente Barack Hussein Obama. Il movimento dei “Tea Party” marcia volentieri compatto con il Partito Repubblicano se quest’ultimo rispetta il mandato chiarissimo ma certo non in bianco consegnato ai suoi eletti il 2 novembre dai cittadini americani, eppure non ha smesso di essere se stesso. Resta un osservatorio schiettissimo della politica del Paese, pronto a bacchettare le dita a chiunque faccia compia passi falsi senza guardare in faccia ad alcuno. Nemmeno se Repubblicano. Il fatto che da mesi tutto questo sia stato portato dentro il Congresso federale stesso attraverso l’organizzazione di una “commissione” informale costituita tra gli eletti, cioè il “Tea Party Caucus”, significa esattamente questo.
C’è chi ripete che la cosa denuncia spaccature dentro i Repubblicani; in realtà, marca delle differenze importanti. Epperò è così da sempre nella Destra statunitense, basta sfogliare qualche pagina di libro di storia. L’unica, in verità importante, differenza di oggi è che la cosa è stata persino istituzionalizzata, e reclamizzata. Il 2 novembre il mondo conservatore ha mandato personale proprio dentro la politica, chiedendo di accettarne le regole (che nella fattispecie passano anche dall’impegno, diretto e leale, fra le fila Repubblicane), ma mantiene tutta la propria originalità, traendone profitto.
Alle nostre latitudini diseducate alla politica suona stranissimo, ma si tratta solo di una lezione classicissima di rappresentanza democratica. In Italia successe qualcosa ai tempi, remoti, erano gli anni 1910, dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana, che per i cattolici costituì un modello d’impegno politico unitario. Lasciate perdere “i cattolici” (non per antipatia, il va sans dire, ma perché ora interessa più il concetto generale). La società civile, articolata in organizzazioni, associazioni, leghe e advocay group, a cui sta a cuore una certa visione della cose dalle quali ricade una determinata politica concreta, propose la sottoscrizione di un patto chiaro e netto, indicando pure all’elettorato candidati eticamente votabili che i partiti “meno lontani” s’impegnarono a sostenere e a far eleggere. La dinamica con cui il 2 novembre il “Tea Party” ha portato dentro il Congresso federale molti dei suoi non è granché distante.
Ma ancora di più assomiglia al modello UECI il “consiglio permanente” degli eletti dai “Tea Party” e con i “Tea Party” che ha nome appunto “Tea Party Caucus”. Si compone di 53 deputati della Camera guidati da Michele Bachmann, del Minnesota, ed è stato lanciato in luglio. Ora, però, dopo le elezioni di novembre, il gruppo esiste anche al Senato, dal 14 gennaio (e la cosa sottolinea ancora una volta che anche al Senato i Repubblicani, che pure non hanno ottenuto la maggioranza, hanno conseguito un successo più che lusinghiero). Il 27 ha tenuto la prima riunione, condotto da tre senatori Repubblicani, Jim DeMint (South Carolina), Rand Paul (Kentucky) e Mike Lee (Utah). Hanno preso la parola pure Grover Norquist dell’Americans for Tax Reform, il chairman di Tea Party Express Amy Kremer, il presidente dell’Americans for Prosperity Tim Phillips, Matt Kibbe presidente di FreedomWorks, nonché la-biondina-con-gli-occhi-azzurri Jamie Radtke, capo della Virginia Tea Party Patriot Federation. Cioè la “piazza” , il braccio e la mente dei “Tea Party”.
Certo, alcuni nomi mancano, e si nota. Anzi, taluni non hanno proprio voluto legarsi a quella schiera. Nessuno può del resto nascondersi che i “Tea Party” possano risultare indigesti a taluni, magari persino dentro i ranghi dell’ala destra Repubblicana (peraltro sempre più maggioritaria dentro il Grand Old Party). Ma l’insieme è davvero un grande contributo alla trasparenza che la politica americana offre a tutti. Ognuno faccia come crede, dice oggi quel mondo, alla fine il conservatorismo riconoscerà i suoi.
Com’è possibile, del resto, considerare un segno di debolezza il moltiplicarsi di azioni politiche concrete, sigle e forze organizzate, anche talora non perfettamente allineate tra loro? Una cosa comunque è certissima. Se la sfida per la Casa Bianca 2012 forse non è ancora iniziata, di fatto sono però iniziate le primarie dentro il Partito Repubblicano. Vuoi vedere che una volta tanto riesce davvero a spuntarla il migliore? Se per caso infatti non fosse così, la “seconda scelta” potrebbe risultare non meno saporosa.
Ora, dal 10 al 12 febbraio il gotha dei conservatori celebrerà a Washington il CPAC, la Conservative Political Action Conference cui partecipano una miriade fra sigle e personale politico eletto. È la riunione annuale che esprime le linee di tendenza portanti di quel mondo ed “elegge” il proprio “miglio uomo” del momento. L’anno passato fu incoronato a furor di popolo conservatore Ron Paul, quintessenza dello spirito “Tea Party”. Quest’anno che suo figlio Rand guida il “Tea Party Caucus” del Senato cosa accadrà? Le teiere bollono sul fuoco da tempo.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e Direttore del Centro Studi Russell Kirk [www.russellkirk.eu]