L’Ave Maria che ha turbato l’Università di Macerata

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L’Ave Maria che ha turbato l’Università di Macerata

20 Ottobre 2017

C’è un vescovo a Macerata! E con i tempi che corrono, è un’ottima notizia, di quelle che scaldano il cuore. E non è una battuta ironica.

I fatti, innanzitutto. Nel giorno del centenario delle apparizioni di Fatima, il 13 ottobre scorso, all’Università di Macerata è successo l’impensabile. Clara Ferranti, ricercatrice di Glottologia e Linguistica al dipartimento di Studi Umanistici, durante la lezione del pomeriggio, alle 17.30, per la precisione, si ferma e invita gli studenti a recitare l’Ave Maria: una preghiera per la pace, come in quello stesso momento avviene anche in altre parti di Italia, per via dell’anniversario di Fatima. Impensabile, perché oramai nelle aule pubbliche sono i cattolici per primi a staccare i quadri dei loro santi (do you remember il Politecnico di Milano?), e i crocefissi restano appesi solo se piccoli, un po’ sbiaditi, o appesi in modo da passare inosservati. Proporre una preghiera a lezione è qualcosa che si poteva pensare di fare cinquant’anni fa. Ma la prof evidentemente è una d’altri tempi, e anziché chiedere di cantare “Imagine” tutti insieme tenendosi per mano (“Immagina che non ci siano nazioni, e nemmeno religioni…”), per la pace ha proposto, scandalosamente, un’Ave Maria. L’interruzione dura circa 25 secondi, durante i quali ogni studente fa quel che vuole: chi accoglie l’invito, chi resta in silenzio.

Ovviamente, scoppia il putiferio sui social, ad opera di una delle ormai rare, residue associazioni studentesche di sinistra – ormai un lupo malmesso e spelacchiato, esemplare in via di estinzione, che però certi vizi non li perde mai – tale “Officina Universitaria”: “limitazione della libertà personale”, hanno protestato indignati “una cosa talmente assurda che non avremmo mai immaginato potesse accadere e dover segnalare questo accaduto ci fa letteralmente cadere le braccia. La spiritualità è un qualcosa di intimo e privato e tale dovrebbe rimanere, senza ripercussioni sulla carriera scolastica di studenti e docenti”.
Interviene quindi il rettore Francesco Adornato, vero cuor di leone, che a nome dell’Ateneo chiede “scusa a tutti coloro che sono stati feriti nella sensibilità e nella fiducia verso l’Università”, per quello che definisce “un atteggiamento assolutamente improprio e censurabile”. 

Ancora ricordiamo quando un paio di anni fa in un liceo romano ragazzi minorenni vennero obbligati – allora sì, era un obbligo, a differenza dell’Ave Maria di adesso – dall’insegnate a leggere il libretto della Mazzucco “Sei come sei”, comprendente, fra l’altro, ampia e dettagliata descrizione di sesso orale fra giovani maschi adolescenti. Quella, ci venne spiegato, era “libertà di insegnamento”, o anche “espressione artistica”. Se l’improvvida docente maceratese avesse declamato fantasiose pratiche erotiche, ovviamente in nome della pace e magari anche della tolleranza per il diverso, sicuramente la sensibilità degli studenti – maggiorenni – sarebbe stata meno ferita. E se invece avesse fatto un’arringa sull’assegnazione di un apposito locale toilette ai transgender – sempre in nome della pace e della non discriminazione delle minoranze – l’istituzione ne avrebbe guadagnato in fiducia.

E invece no. La violenza di 25 secondi di Ave Maria è stata troppo: un vero tradimento per quei giovani boccioli in fiore – maggiorenni – che ascoltavano fiduciosi la loro insegnante. E chissà quanto sarebbe durata la polemica, e chissà a cosa sarebbe stata costretta la ricercatrice – almeno almeno un’abiura stile Unione Sovietica, tipo il video di Barilla quando fu costretto a chiedere scusa agli LGBT – se non fosse intervenuto prontamente il vescovo, Mons. Nazareno Marconi, con una geniale ironia e una intelligente e limpida testimonianza di fede a cui, sinceramente, non siamo più abituati. Vale la pena riportare il suo intervento per intero:

“La storia dei 25 secondi di interruzione di una lezione, per dire un’Ave Maria per la pace, con la reazione che ha scatenato ci interroga profondamente come credenti. Gli stessi 25 secondi usati per dire una battuta, cosa che molti docenti fanno spesso, non avrebbero creato problemi. Chiediamo scusa come credenti per aver destabilizzato la serenità di un’Università, ma il problema è la nostra poca fede. Chi dice almeno 50 Avemarie al giorno, cioè un Rosario, tanti, molto più di quelli che vanno a Messa la domenica, non capisce tutta questa agitazione. È che a dirne tante di Avemarie si comincia a pensare che valgano poco, che di fatto siano innocue. Che non creino problemi. Grazie perciò di cuore a chi ha protestato, a chi ci ha ricordato che la preghiera è una forza, una potenza che può mettere paura a qualcuno. Grazie a chi crede più di noi credenti che quelle poche parole smuovano i monti e i cuori tanto da sconvolgere la loro vita. Grazie a chi ci ricorda che dire Ave Maria è salutare una donna morta 2000 anni fa credendo che è viva, in grado di pregare per noi e di operare per rendere la nostra vita più buona e vicina a Dio, tanto da aiutarci ad affrontare serenamente la morte. Grazie fratelli non credenti e anticlericali perché ci avete ricordato quali tesori possediamo senza apprezzarne adeguatamente il valore e l’importanza”.

Grazie Mons. Marconi, per aver ricordato tutto questo a noi, a tutti.