“Law and order”, Trump vuole conquistare l’America senza retorica

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“Law and order”, Trump vuole conquistare l’America senza retorica

22 Luglio 2016

Quando al Don è toccato salire sul palco della Quicken Loans Arena, la scenografia si è tinta d’oro. Trump ha voluto ringraziare i repubblicani della sua incoronazione con un discorso per niente retorico, rinunciando ad appelli roboanti, per dare voce ai sentimenti che muovono la base del suo elettorato e di un bel pezzo dell’America. Un vero e proprio “manifesto americano per i nostri tempi tribolati”, il suo, che ha denunciato un’America vittima di Obama e della Clinton in cui a regnare sono terrore e crimine (il tasso di criminalità negli Usa si è alzato prepotentemente negli ultimi anni).

Law and order”, dunque, slogan vecchio ma che si è spesso rivelato vincente per alzare la posta in gioco e vincere le elezioni. E’ stato un lungo di discorso, il Don ha battuto spesso sugli stessi temi, ma convincente e destinato a rafforzare la convinzione degli americani che vedono il loro paese correre sulla strada sbagliata.

Poco male se gli esperti non hanno fatto o non faranno eccessivi apprezzamenti – secondo il Financial Times, il discorso è stato descritto dai sostenitori come una rappresentazione onesta dello stato d’America –,  Trump ha saputo comunque offrire una visione degli Stati Uniti molto diversa da quella andata in onda alla Casa Bianca negli ultimi otto anni, una leadership che guarda in avanti: “Le cose devono cambiare, e devono cambiare in questo momento. Le grandi imprese, i media d’elite e grandi donatori sono in fila dietro la campagna del mio avversario perché sanno che lei manterrà il nostro sistema truccato al suo posto”.

Per gli analisti ora diventa interessante capire quali saranno le contromosse di Hillary, in che modo la candidata dem risponderà non solo alla sostanza del discorso di Trump, ma all’atmosfera generale della convention repubblicana.

Hillary dovrà mostrarsi capace di affrontare con valide argomentazioni grandi questioni come la sicurezza e la lotta al terrorismo. In un momento storico in cui sul piano della occupazione e dell’immigrazione gli Usa non riescono più a dormire tra due guanciali, Trump è tornato a ripetere il suo mantra economico, “America, first”, “Il popolo americano al primo posto ancora una volta. Il mio piano inizierà con la sicurezza a casa, il che significa quartieri sicuri, frontiere sicure e protezione contro il terrorismo. Non ci può essere la prosperità senza legge e l’ordine”. E passando poi all’attacco della Clinton,  ha detto che l’eredità che lascerebbe un altro mandato democratico agli americani sarebbe fatta di “morte, distruzione, terrorismo e debolezza”.  I “barbari dello Stato islamico” vanno sbaragliati, ha aggiunto Trump, ma non con le strategie fallimentari di Obama Hillary.

Il pubblico, oltre al consueto ‘USA-USA-USA’, ha intonato due motivetti. Il primo –”Build the wall” – dedicato all’ormai proverbiale muro che all’inizio della sua campagna Trump ha promesso di costruire sul confine messicano se vincesse le elezioni; il secondo tutto per Hillary – “Lock her up” – la Clinton andrebbe ammanettata visto lo scandalo delle email, dalla quale sembra uscita praticamente indenne.

La Right Nation in versione 2.0 di Trump si è scatenata quando il Don ha detto “sono con voi, combatterò per voi e vincerò per voi”, perché “non possiamo più permetterci di essere politicamente corretti“. Con il suo discorso, senza orpelli retorici, senza troppa cura verso le “narrazioni” e tutto il bagaglio dello speechwriting, Trump dimostra di essere davvero un uomo nuovo della politica Usa, spazzando via anche le consuetudini della oratoria repubblicana e democratica. Nei suoi discorsi non c’è un crescendo di pathos fino al colpo di scena finale, ma infinite schegge veloci, battute che sembrano perfetti messaggi di marketing, in grado di bucare gli schermi.

In questo senso, l’anti-intellettualismo – anche perché ‘intellettuale’ è ancora parola, in America, relegata al perbenismo progressista- di Trump gli permette di pescare nella pancia del conservatorismo tradizionale, che fa della difesa della produzione targata USA, della tutela dell’ordine, del patriottismo più puro e della difesa dell’industria militare, il proprio zibaldone politico. A tutto questo, aggiungiamo il vocabolario di Mike Pence, che parla al mondo cristiano attento ai “principi non negoziabili” e alle cosiddette “social issues”. Ora che la convention repubblicana è finita, non sappiamo ancora come finiranno le elezioni Usa 2016, ma è certo che da qui all’appuntamento di Novembre ci sarà da divertirsi.

Hillary Clinton ha solo da preoccuparsi, e gli americani ancor di più pensando che potrebbe essere lei a entrare nella sala ovale. Mesi fa eravamo voci nel deserto, dicendo che Trump era l’uomo giusto per contrastare i democrats. La convention di Clevaland conferma che avevamo visto giusto.