
Le agenzie di rating ci avvertono: sbagliare è umano, perseverare è diabolico

30 Aprile 2020
L’agenzia di rating Fitch ha rotto gli indugi. Anticipando il giudizio rispetto al calendario atteso, è stato declassato il rating sul nostro debito sovrano, ora ad un solo gradino dalla poco confortante valutazione di livello speculativo.
Il giudizio è stato giustificato con le previsioni di crescita del debito, nell’attuale situazione determinata dalla crisi da Covid-19.
Per quanto niente affatto positiva, la notizia in sé non deve meravigliare: coglie un dato oggettivo ed innegabile, evidenziando l’impennata di un debito pubblico già in precedenza ben oltre i livelli di guardia.
Quello che merita maggiore attenzione, piuttosto, sono alcuni dati che accompagnano e, forse, aiutano a spiegare meglio l’iniziativa dell’agenzia di rating.
La crescita del debito non è certo arcano sorprendentemente evidenziato in questa occasione. Ma è significativo che l’impennata, fino ad un rapporto che l’agenzia di rating stima al 156% rispetto al PIL, denuncia la debolezza di quest’ultimo fattore. Come a dire che l’aspetto più preoccupante non è l’improvviso innalzamento del volume complessivo di debito, ma la incapacità di trasmettere realmente attraverso questo debito una spinta effettiva al PIL, che continua a denunciare l’incapacità dell’economia nazionale di afferrare un volano di crescita reale.
Non è una novità o una responsabilità di chi sta governando questa fase così complicata, ma è innegabile che, di fronte alle impervie difficoltà di una situazione di inusitata difficoltà e gravità, finiscano per venire al pettine i nodi di un tempo di pace vissuto con spensierata incoscienza. Tra annunci di infantile entusiasmo per la “abolizione della povertà”, soluzioni immaginifiche di formidabili risolutori della crisi occupazionale, e più banali scelte di fuga dalla scomoda necessità di prendere decisioni doverose, ma forse scarsamente popolari in una comunità immaginata solo come insieme di follower sulla piattaforma social di turno.
L’altro dato che emerge con singolarità è che Fitch, di fronte ad una situazione di evidenza oggettiva e planetaria, come la proiezione sull’economia dell’emergenza da Covid-19, e alla crescita dei debiti sovrani pressocchè generalizzata, abbia scelto di deviare dal calendario già reso noto, anticipando un giudizio in realtà atteso per il 10 luglio. Per giunta, derogando ad una tradizionale regola – non scritta – del giudizio sul rating emesso il venerdì, dopo la chiusura dei mercati, per consentire un maggiore tempo di metabolizzazione per gli investitori istituzionali. E tutto questo, proprio per un giudizio di declassamento che colloca il nostro debito sovrano sulla soglia dell’inferno rappresentato dal livello speculativo.
È certamente possibile che tutto ciò sia del tutto casuale e scevro da retropensieri di sorta, ma provando a mettere insieme alcuni dei fattori più chiaramente emergenti non si può fare a meno di sospettare che dietro queste modalità del downgrade ci sia anche il senso di una sorta di ultimo avviso. Nessuna conseguenza immediata per l’Italia: la BCE continua a sostenere gli acquisti dei nostri titoli di Stato e, soprattutto, la decisione del Consiglio dei Governatori del 22 aprile sembra quasi preludere a sviluppi di questo tenore, consentendo di continuare ad utilizzare come collaterale i titoli interessati da downgrade dovuto alla pandemia.
Ma la anticipazione in questa fase, denunciando la assenza di concrete prospettive di recupero del PIL dopo la fase emergenziale acuta, suona più come pungolo verso la necessità di cambiare strategia.
È stato segnalato per tempo che era un errore (pretendere di) affrontare l’emergenza economica prodotta dalla epidemia fidando sulla mediazione del canale bancario e di una burocratizzazione complessiva non in grado di trasmettere il necessario immediato impulso a famiglie ed imprese. Sperare che solo la garanzia dello Stato, per come offerta, potesse valere ad arrestare il crollo era ingenuità pericolosa.
Di fronte a queste criticità messe in evidenza per tempo – offrendo percorsi alternativi di immediata fruibilità – nessuna correzione di rotta è stata adottata, anzi, si è deciso di ripetere e moltiplicare la felice intuizione.
In queste condizioni, aumentare il volume del debito può servire solo ad amplificare le dimensioni dell’insuccesso, magari consentendo nel frattempo a qualche banca di sostituire gli affidamenti già in essere con quelli generosamente garantiti dallo Stato, senza offrire a famiglie ed imprese quelle risorse aggiuntive tanto necessarie.
Vale la pena, allora, cogliere come il senso del giudizio dell’agenzia di rating, di fronte a tanta ostinazione che meriterebbe di sperimentarsi in altra direzione, stia nel messaggio inequivocabile per cui non c’è più tempo da perdere.
È finita la stagione della retorica paternalista a basso prezzo, non è più rinviabile la stagione delle decisioni. A patto che siano pronte, adeguate, coraggiose, consapevoli.