Le agenzie di rating controllano il mercato ma nessuno le controlla

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Le agenzie di rating controllano il mercato ma nessuno le controlla

28 Luglio 2011

La Grecia è praticamente già fallita. E’ la sentenza di Standard & Poor’s che ha tagliato il rating di Atene a “CC”, portandolo a due soli gradini dal livello “D”, la soglia  che indica il default, con prospettive negative. Secondo l’agenzia di rating, che in precedenza assegnava al Paese ellenico il voto “CCC”, la Grecia dovrà probabilmente di nuovo ristrutturare il proprio debito nel giro di un paio di anni. Sulla stessa lunghezza d’onda le altre agenzie di rating: Moody’s che nei giorni scorsi ha anch’essa tagliato il merito di credito di Atene e Fitch. Secondo l’agenzia americana, il coinvolgimento dei privati nel salvataggio della Grecia non sarebbe altro che una ristrutturazione mascherata.

E mentre la maggiore delle tre sorelle del credito certificava il collasso ellenico, l’Italia cercava di mettere un freno allo strapotere delle agenzie di rating. La commissione Finanze della Camera ha chiesto al governo una iniziativa in sede Ue per dare vita ad una agenzia di rating europea. Il testo si apre con un atto di accusa alle agenzie, già colpevoli all’inizio della crisi finanziaria di essere state "incapaci nel valutare con il dovuto anticipo alcune patologie registratesi con riferimento ai mutui sub prime". Le tre sorelle sono anche accusate di aggiotaggio (cioè divulgare notizie false col fine di ottenere un aumento del valore di titoli). A Montecitorio pensano soprattutto "alla diffusione, effettuata a mercati aperti, di un comunicato di Standard and Poor’s sulla manovra correttiva adottata dal Governo italiano, prima ancora della pubblicazione del testo definitivo della manovra stessa", che ha avuto "gravi ripercussioni sull’andamento delle quotazioni in borsa".

Gli oracoli dell’outlook sarebbero viziati anche "da conflitti di interesse tra l’attività di valutazione svolta e la prestazione di servizi di consulenza nei confronti dei soggetti che emettono gli strumenti finanziari oggetto della loro valutazione"; anche perché "i servizi di rating sono pagati dai soggetti che emettono i prodotti finanziari sottoposti al rating"; si aggiunga "il sostanziale oligopolio esistente nel mercato dei servizi di rating" e "l’insufficiente trasparenza nei meccanismi e nelle procedure per la realizzazione delle valutazioni. Basta dare un’occhiata agli statuti societari delle “signore di Wall Street”. Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch sono le padrone assolute del mercato finanziario. S&P è una controllata del gruppo editorial Mc Graw-Hill, che ha come azionisti BlackRock (5,3 per cento) y Capital Group (12,3 per cento). In Moody´s Capital è l’azionista di maggioranza relativa (16,4 per cento), seguito da Berkshire Hathaway (il braccio d’investimento di Warren Buffett) –con il 13 per cento,– e anche BlackRock (6,3 per cento). Il resto si divide fra fondi di tutti i tipi. Fitch invece è la controllata della francese Fimalac, compagnia di servizi d’investimento presieduto da Marc Ladreit di Lachaniere, nella lista Forbes tra i più ricchi del mondo. Possiede il 60 per cento, mentre il restante 40 per cento delle quote appartiene ad Hearst.

Ma il vero problema è che ormai i giudizi delle agenzie di rating sono stati istituzionalizzati. Adottare le loro valutazioni è praticamente obbligatorio. Prendiamo per esempio gli accordi internazionali, che regolano i requisiti patrimoniali che le banche sono tenute a rispettare. Vi si stabilisce un limite al valore dei soldi che le banche possono impiegare (nelle loro varie attività, dai presiti alle imprese, a quelli alle famiglie, agli investimenti in prodotti finanziari fatti per proprio conto) rispetto al patrimonio che possiedono. Ogni impiego assorbe una parte del patrimonio, ma il calcolo viene ponderato per il rischio: gli impieghi considerati più rischiosi vengono computati al loro valore effettivo, mentre per quelli con meno rischi si applica una riduzione dell’assorbimento patrimoniale.

E come si valuta se un impiego è più o meno rischioso? Ma con il rating, naturalmente. Gli accordi di Basilea hanno riconosciutola necessità di rafforzare sistemi interni di valutazione usando i rating di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch solo "come uno dei fattori tra gli altri", che non deve prevalere quando è possibile. Ma questo non basta a ridimensionare il peso delle tre super agenzie. Inoltre molti grandi investitori (Fondi d’investimento, Fondi pensione, assicurazioni) adottano statuti che impongono loro di investire solo in titoli con un certo rating minimo. Ciò tra l’altro comporta che, quando avviene un downgrade (cioè un declassamento) questi investitori sono costretti a vendere in ogni caso, qualunque siano le condizioni del mercato. Dallo scoppio della crisi dei mutui subprime del 2007 si è visto come questo meccanismo alimenti le crisi finanziarie.