Le agenzie di rating farebbero meglio a premiare chi fa le riforme
31 Gennaio 2012
Anche Fitch, come S&P’s e Moody’s, ha tagliato il rating sul debito sovrano italiano da A+ ad A- con, in aggiunta, un avviso di outlook negativo, ovvero l’avvertimento al governo di un probabile peggioramento dei conti pubblici e, quindi, di possibili ulteriori declassamenti nel breve periodo.
L’agenzia franco-americana, nonostante, nella sua nota, abbia riconosciuto al governo italiano "il forte impegno nella riduzione del deficit di bilancio e nell’adozione di riforme strutturali, così come la significativa riduzione dei rischi di finanziamento a breve termine dovuti agli effetti dell’asta di rifinanziamento a 3 anni della Bce", ha, tuttavia, previsto per il Belpaese uno scenario macro-economico a tinte fosche, anticipando una contrazione del Pil dell’1,7% nel 2012 e dello 0,2% nel 2013, che dovrebbe mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del deficit e debito pubblico.
Monti, intervistato a riguardo, ha dichiarato di aver appreso la notizia con distaccata serenità. In realtà, per il premier, motivi per stare sereni ce ne sono davvero pochi. Fitch ha giudicato il decreto salva-Italia come recessivo ed ha esortato il governo a perseguire una strategia di consolidamento dei conti pubblici più dal lato della riduzione delle spese che da quello dell’incremento delle entrate. Si ricorda che l’ammontare complessivo dell’ultima manovra Monti è stato realizzato per l’85% grazie a maggiori entrate e solo per il restante 15% grazie a minori spese. Il giudizio di Fitch è molto più pesante di quello che è stato fatto passare sulla stampa in questi giorni.
Nonostante le agenzie di rating siano ben lungi dall’essere organismi di valutazione perfetti, come si è più volte dimostrato nel corso degli ultimi anni, questa volta il giudizio espresso da Fitch è del tutto condivisibile. Basti pensare che la Commissione Europea, nelle sue guidelines di qualche mese fa, aveva suggerito all’Italia di effettuare il consolidamento basandosi sul taglio della spesa pubblica ed evitando l’imposizione di nuove entrate, data la situazione di partenza, in termini di pressione fiscale, già eccessivamente elevata.
Monti non ha voluto seguire i suggerimenti della Commissione, optando, invece, per una strategia basata unicamente su un aumento delle entrate, che si è concretizzata in un generalizzato aumento della tassazione indiretta, ovvero di quella che più va a svantaggio dei poveri. Riducendo il potere d’acquisto delle famiglie, il premier ha creato le condizioni ideali per una forte contrazione dei consumi e, conseguentemente, della produzione, con effetto finale recessivo per l’intera economia, quello che Fitch menziona.
L’errore più clamoroso compiuto da questo governo è stato l’aumento dell’accisa sulla benzina, che ha spinto il carburante a dei livelli insostenibili, i più elevati d’Europa, facendo lievitare i costi dei trasporti su gomma, vera e propria spina dorsale (fin quando una seria politica di revisione dei trasporti commerciali non verrà fatta) dell’economia italiana, stupendosi poi di vedere autotrasportatori e pescatori in piazza a protestare per i rincari. Non ha pensato a come ridurre il carico fiscale sulla tassazione diretta, nonostante, anche in questo caso, la Commissione abbia più volte suggerito questa modifica. Una politica anti-liberista non può avere effetti positivi sulla crescita, e la manovra di Monti nulla ha di liberismo. E’ semmai frutto di una visione keynesiana e dirigista, che non può fare il bene del paese.
Le agenzie di rating, invece, dovrebbero chiarirsi le idee una volta per sempre sulla bontà delle politiche economiche degli stati membri, decidendo se un paese debba essere giudicato negativamente se non effettua politiche di risanamento del debito oppure se non effettua quelle pro-crescita. Finora, i giudizi sono sembrati estremamente contraddittori, poiché, in un primo momento, il giudizio negativo veniva dato in caso di mancata effettuazione di politiche di riduzione dei disavanzi ma, successi-vamente, questo è stato dato per le politiche che non producono sviluppo economico.
Ora, dal momento che risulta difficile crescere quando il bilancio si trova nel mezzo di una cura dimagrante, le agenzie di rating dovrebbero avere il coraggio di sposare una sola linea di giudizio: apprezzare quelle politiche che mirano a liberare le risorse economiche inutilizzate, che abbassano le tasse parallelamente all’abbattimento della spesa pubblica e condannare le politiche fiscali “stitiche”, che mirano solo a correggere lo “zero virgola” del deficit eccessivo. Guadagnerebbero nuovamente in una reputazione che hanno da tempo perduta – per loro colpa -e potrebbero di nuovo ritornare a svolgere quel ruolo di intermediari informativi di cui il mercato ha bisogno.