Le armi? L’omofobia? Tutto pur di non chiamarlo terrorismo islamico

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Le armi? L’omofobia? Tutto pur di non chiamarlo terrorismo islamico

14 Giugno 2016

“È bene che si usino parole ferme e inequivocabili per condannare quanto accaduto: l’azione è figlia dell’estremismo islamico e non di un indefinito e vago sentimento di odio”. Lo ha detto oggi il presidente della Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, e lo ha detto con la piena consapevolezza di chi, facendo parte della minoranza per antonomasia, la storica comunità ebraica in diaspora, è ben allenato a riconoscere le radici dell’odio.

Assurdo il tentativo di Obama e dalla candidata democratica Clinton di “buttarla in caciara” contro la lobby delle armi, così come quello di circoscrivere la strage a un fanatico isolato figlio dell’America. Questi tentativi rischiano paradossalmente di spingere la comunità LGBT nelle braccia dell’”impresentabile” candidato repubblicano Trump (impensabile fino all’altro ieri) il quale, senza mezzi termini, ha puntato il dito contro la minaccia del terrorismo radicale islamico.

Anche se le indagini appurassero che Mateen ha agito da solo, senza ordini specifici dall’esterno, la sua stessa rivendicazione di appartenenza ad Isis (e la conferma da parte del Califfato) la dice lunga sui suoi punti di riferimento, che non fanno parte del mondo americano ma vengono da fuori.

La forza del terrorismo islamico non sta nella facilità con cui i singoli terroristi dispongono di armi, ma nella determinazione con cui si preparano a morire pur di annientare il nemico, perché per loro “la morte vale più della vita”: è questa la loro vera arma letale. Il commercio internazionale purtroppo fiorente di armi e le lobby dei fabbricanti che sono riuscite a bloccare persino ogni tentativo di Obama di limitarne il potere, non sono le cause del terrorismo islamico, non più di quanto lo siano state le compagnie aeree per l’11 settembre.

L’invito a non demonizzare l’Islam fatto dalla Clinton appare ormai come  una ostinata froma di cecità volontaria: si continua a girare la testa dall’altra parte, a non voler vedere che donne, minoranze religiose e gay hanno vita molto dura – quando riescono a sopravvivere -sotto le dittature islamiche, senza neanche andare a scomodare l’Isis, lo stato islamico dove i gay li uccidono gettandoli nel vuoto, dalla cima dei palazzi. E’ sufficiente far mente locale su quel che succede a casa dell’ “alleato” degli Usa, l’Arabia Saudita, dove tra l’altro anche Omar Mateen si era recato un paio di volte in pellegrinaggio alla Mecca.

L’ossessione di non colpevolizzare chi crede nella religione musulmana si sta trasformando una pericolosa deformazione del reale, per cui si tenta di derubricare la strage islamista ad un espisodio di follia omicida del genere Columbine, grave quanto si vuole ma del tutto simile ad altri eventi analoghi. Sono le armi; è l’omofobia. Qualunque scusa è buona pur di tacere quello che salta agli occhi: che, cioè, si tratta di un tipico attacco islamico, che si rivolge contro tutto quello che l’Isis odia e ritiene frutto della perversione occidentale.