Le attività riaprono per un giorno. Per prepararsi (a spese loro) alla lotteria degli scontrini…
01 Dicembre 2020
Immaginate la scena. Attività chiuse sostanzialmente da nove mesi, interrotti solo dalla parentesi estiva. Tasse che arrivano da pagare come se nulla fosse, o in alternativa vengono rinviate andandosi ad accumulare con conseguente extraindebitamento delle aziende (nelle zone terremotate sanno bene cosa significhi). Dipendenti in cassa integrazione (alcuni la stanno ancora aspettando). Scuole, trasporti, sistema sanitario impreparati alla ripresa autunnale dopo un’estate passata a parlare delle discoteche. E, in aggiunta al danno, la beffa del susseguirsi ininterrotto di provvedimenti a volte lunari (come il bonus monopattini), a volte farraginosi (come il bonus 110%), a volte così mal congegnati (come il bonus vacanze) che il governo ha finanziato parte degli ultimi “ristori” con i soldi a suo tempo stanziati e mai utilizzati.
Immaginate la scena, dicevamo. In questo clima, con il morale non proprio al massimo per la prospettiva di un Natale a scartamento (ben che vada) ridottissimo, agli esercenti arriva la telefonata dell’Agenzia delle Entrate. Raramente si tratta di un evento piacevole, ma alla luce delle circostanze così eccezionali un pensiero comunque balena nella testa: “Vuoi vedere che per una volta lo Stato si preoccupa di noi e vuole vedere come ce la passiamo? Avranno finalmente capito che se falliscono le imprese con il loro gettito fiscale è finita per tutti?”.
Beata ingenuità! Il motivo di tanta sollecitudine, ovviamente, era ben altro. Serviva che per un giorno cancelli e saracinesche si riaprissero, non certo per riprendere il lavoro interdetto dai Dpcm, ma per adeguare in tempo utile i registratori di cassa. In tempo utile per cosa? Ma è evidente, per l’inizio della lotteria degli scontrini! Accanto agli aggiornamenti annuali di rito, la strumentazione fiscale delle aziende è stata – a spese di queste ultime, manco a dirlo – resa compatibile con l’estrazione dei ricchi premi e cotillon che per gentile elargizione del governo Conte risolleveranno le sorti economiche della Nazione.
Scopo dichiarato: contrastare l’evasione fiscale. Scopo reale: spingere in tutti i modi l’utilizzo della moneta elettronica, come si evince chiaramente non soltanto dall’ammontare assai diverso dei “premi” promessi nel caso di pagamenti effettuati in contanti o con bancomat e carte di credito, ma anche dal fatto che, in caso di vincita, all’azienda per i pagamenti cache non tocca un euro quando invece, a rigor di logica, l’emissione di scontrini nel caso di riscossione in contanti è un indice di “virtuosità” assai superiore rispetto a quella, obbligata, per altre forme di pagamento.
Non è questo il punto, comunque. Il punto è che talune misure, pittoresche ai limiti del folklore (con tutto il rispetto per il sano folklore popolare, che è una cosa seria), potrebbero essere accolte con un’alzata di spalle in tempi ordinari. Non di fronte a una crisi economica di tali proporzioni, non di fronte a ciò che la parte produttiva del nostro Paese sta attraversando. E non per la spesa e per il disturbo, quanto per l’idea, difficilmente sopportabile, che lo Stato italiano in questo momento non abbia cose più serie delle quali occuparsi.
Ma tant’è. Ultimati gli adempimenti, il gentile incaricato dell’Agenzia delle Entrate saluta e va via. Il giorno dopo, coerentemente con quanto sopra, il governo vara un decreto urgente quantomeno per sollevare aziende e partite Iva dai costi dovuti per i pagamenti elettronici. Ah no, scusate, un’altra ingenuità. Il giorno dopo c’era il click day per il bonus monopattini.