Le banche inglesi lasciano Londra? Non per Brexit, ma per le tasse

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Le banche inglesi lasciano Londra? Non per Brexit, ma per le tasse

23 Ottobre 2016

Le grandi banche inglesi pronte a scappare dalla City lasciando Londra verso la Ue all’inizio del 2017? Così scrivono i nostri giornaloni, raccontando che l’incertezza nelle trattative fra Gran Bretagna e Ue sui negoziati per Brexit spingerebbero le banche inglesi a mollare la capitale del Regno entro la fine dell’anno. Si cita Anthony Browne, presidente e CEO della British Bankers’ Association, che in un articolo sull’Observer ha scritto che “il dibattito pubblico e politico su Brexit ci sta portando nella direzione sbagliata”, intervento ripreso da molti media inglesi.

Fonti legate al ministro per la Brexit, David Davis, spiegano al Guardian che il ministro e il al Cancelliere Philip Hammond hanno già cercato di dare rassicurazioni nei giorni scorsi alle banche internazionali, che sempre secondo Browne, avrebbero “istituito gruppi di lavoro impegnati nel definire le operazioni da fare per assicurare il proseguimento dei servizi ai clienti, la data entro cui il trasferimento deve avvenire, e come farlo al meglio”. Goldman Sachs avrebbe minacciato di lasciare la Gran Bretagna se il Regno Unito rinuncerà alla libertà di movimento delle persone all’interno della Ue: 2mila dipendenti sarebbero pronti a trasferirsi in altre città europee. Browne però nel suo articolo non cita alcuna banca in particolare, ma spiega che gli istituti non possono aspettare l’ultimo minuto per agire e sono quindi costretti a “pensare al peggio”. 

L’incertezza, dicono, deriverebbe dal mantenimento o meno dei cosiddetti “diritti di passaporto” per i membri del mercato unico, che finora hanno permesso alle banche basate nel Regno Unito di offrire servizi finanziari a società e persone nell’intera Unione europea senza alcun ostacolo. Il ministro Davis, però, la scorsa settimana ha tentato di rassicurare il settore affermando di essere “determinato a ottenere il migliore accordo possibile per le banche”, mentre la premier Theresa May nicchia, meno propensa ad accordare uno status speciale per la City di Londra (sempre sui diritti di passaporto).  Nel suo articolo Browne aggiunge pure che esistono per il resto dell’Europa, perché le banche basate nel Regno Unito “mantengono a galla finanziariamente il continente” con prestiti per 1.100 miliardi di sterline: il rubinetto potrebbe quindi chiudersi. “Innalzare barriere al commercio nei servizi finanziari oltremanica ci danneggerà tutti, ha scritto Browne.

Ora, da qui a dire che le banche stanno per lasciare la Gran Bretagna, e darlo come un fatto sicuro, come stanno facendo i principali giornali online italiani in queste ore, è segno dell’impazzimento seguito alla Brexit soprattutto di chi non ha digerito la libera scelta fatta dai cittadini inglesi. In realtà, le banche inglesi non stanno minacciando di andarsene dalla Ue per colpa di Brexit, ma perché chiedono al governo May di togliere una tassa dell’8 per cento sui loro profitti, come scrive Reuters. La tassa è stata imposta dal governo sui profitti bancari nel gennaio scorso. Ne parla anche mister Brown, chiedendo appunto che la Gran Bretagna “resti un luogo competitivo per il business delle grandi banche internazionali”. Insomma, è giusto dire che i banchieri nella City vogliono salvaguardare i loro interessi ma a quanto pare la “grande fuga” più che da Brexit potrebbe essere causata da una parola che in Italia conosciamo fin troppo bene, tasse.