Le bombe della Nato su Tripoli sono il colpo di grazia alla Risoluzione ONU
31 Marzo 2011
L’esito della campagna di Libia è quanto mai incerto. Obiettivi politici e militari poco chiari; catena di comando annacquata in sede Nato; uno shakespeariano “regime change o no regime change”; gli Usa – prima potenza militare al mondo – restii ad assumere una chiara e nitida leadership militare e diplomatica. In questo scenario che assomglia a una mezza valle di lacrime, si fa strada un problema di diritto che diviene in queste ore anche problema politico. Quattordici giorni fa, il 17 Marzo, il Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite ha approvato la ben nota risoluzione 1973 la quale ha sancito, in nuce, la legittimità di un intervento militare sulla Libia – ovvero l’imposizione di una no-fly zone – da implementare su scala regionale.
Obiettivo della risoluzione: mettere fine alle presunte violazioni dei diritti delle popolazioni civili libiche soggette agli attacchi delle truppe lealiste di Muammar Gheddafi. Insomma l’azione militare, guidata diplomaticamente e militarmente da Parigi, Londra e Washington, è stata subito insignita del nobile vessillo di ‘guerra umanitaria’ a difesa dei civili libici. Un vessillo però oramai scomparso – ammainato giro di corda dopo giro di corda e giorno dopo giorno – dall’asta dei volenterosi della missione “Odissea all’Alba”, oggi rinominata “Unified Protector”.
Se di fatto la risoluzione 1973 era stata redatta e fatta passare in CdS per impedire all’aviazione libica fedele al colonnello di bombardare le postazioni ribelli, magari uccidendo civili, allora è vero che la missione della coalizione è bella che finita da giorni. Oramai nessun jet o velivolo libico può più alzarsi in volo. L’aviazione libica in senso operativo non esiste più. Lo scopo politico-militare (e con essa probabilmente la stessa legittimità internazionale della missione) è saltato. Eppure i bombardamenti alleati e Nato proseguono e hanno due giorni fa raggiunto la capitale libica.
Di fatto gli interventi aerei degli ultimi giorni sono diventati vere e proprie operazioni di appoggio aereo pro – ribelli. Un sostegno di cui in verità non si ritrova traccia nella risoluzione 1973. Questa la paradossale situazione. Gli esempi sono molti. Solo per farne uno: due giorni fa aerei francesi hanno fornito esplicito appoggio aereo ai ribelli in guerra contro i lealisti gheddafiani per il controllo della città di Ra’s Lanuf. Quando è stata diramata la notizia della ‘caduta’ della città nelle mano alle truppe fedeli a Gheddafi, puntuale è arrivato l’appoggio aereo dei caccia francesi a sostegno dei ribelli.
Un sostegno che ha in un primo momento permesso alle forze di Bengasi di riprendere il controllo della città. Un controllo precario, però, visto che nella serata dello stesso giorno Ra’s Lanuf è caduta di nuovo nelle mani delle forze di Gheddafi. Un sostegno militare – quello alleato – che peraltro non assicura affatto (come dimostra il caso in questione) il consolidamento delle posizioni ribelli. Oltre ai danni, la beffa.
Il caso più eclatante però è stato l’attacco alleato su Tripoli. L’altro ieri velivoli della coalizione franco-anglo-statunitense hanno bombardato quartieri a sud della capitale libica, Tajura solo per fare un nome, non lontano dal quartier generale del colonnello Gheddafi. Vi sarebbero stato dei morti fra la popolazione civile (notizia confermata nella giornata di ieri anche dal vicario apostolico di stanza a Tripoli, mons. Martinelli). Una notizia che ha costretto il generale canadese Bouchard, capo delle operazioni Nato, a dichiararsi disponibile all’apertura di un’inchiesta interna. La situazione paradossale in cui si è infilata la coalizione alleata, insomma, è che le operazioni di imposizione di una no-fly zone sui cieli libici rischiano di causare morti tra i civili, gli stessi che la risoluzione 1973 intendeva proteggere, come recita proprio il punto 4 del testo.
Insomma benché non piaccia dirlo, l’intervento alleato e Nato sta facendo marcire la risoluzione 1973 oltre a porre problemi di legittimità giuridica internazionale. Problemi che Salvatore Zappalà, docente di diritto internazionale all’università di Catania e consigliere giuridico alla rappresentanza italiana presso l’Onu, “risolve” mettendo in risalto la questione dell’interpretazione del punto 4 della risoluzione 1973, dove si parla di ‘protezione di civili’.
“Dipende in realtà dalle circostanze di fattispecie concrete specifiche,” sostiene il prof. Zappalà. “Facciamo un’ipotesi: se Gheddafi stesse per ordinare dal suo quartier generale – o da dove pernotta – l’uso di armi chimiche o batteriologiche per annientare la popolazione civile in un villaggio o una città, personalmente non vedrei alcuna violazione della risoluzione 1973 (2011) qualora un bombardamento mirato del suo rifugio fosse operato. La nozione di ‘… all necessary measures to protect civilians…’ è molto ampia e lascia un margine di manovra corrispondente agli Stati che agiscano per attuare la ris. 1973”.
Insomma un’ambiguità del testo che dà agli Stati molta discrezionalità operativa. Anche troppa. Resta da capire allora quali conseguenze incorrerebbero tutti quei paesi che sostengono attivamente una parte a un conflitto, come sta facendo la Francia che foraggia con armi i ribelli di Bengasi. Per farla breve, se gli Stati che agiscono per conto della comunità internazionale, iniziano ad agire per conto proprio, cosa accade?
Il prof. Zappalà su questo punto ricorda che sul piano strettamente giuridico “la risoluzione 1973 autorizza gli Stati a fare certe cose; puo’ ben darsi che gli Stati nell’agire in attuazione della 1973 vadano al di la’ della risoluzione stessa. Rispetto a queste azioni si pone il problema se esse violino il diritto internazionale, piu’ che violare la 1973. Alla fine pero’ spetta allo stesso Consiglio di Sicurezza pronunciarsi. Anche se non mi pare che vi sia una reale possibilita’ che passi una censura”.
Proprio i governi di Cina e Russia (come noto due dei cinque membri permanenti del CdS) iniziano a far sentire la propria irritazione. L’altro ieri il presidente cinese Hu Jintao, mentre accoglieva il presidente francese Nicolas Sarkozy a Pechino, dichiarava all’emittente di stato CCTV che “qualora gli attacchi alleati facessero dei morti tra i civili, gli alleati sarebbero in violazione della 1973”. Anche il governo russo, per voce del ministro degli esteri russo Lavrov, ha manifestato la propria irritazione quando da una parte ha affermato l’assoluta contrarietà di Mosca al sostegno con armamenti ai ribelli e dall’altra ha denunciato l’ambiguità degli obiettivi politici della risoluzione 1973.
Sul piano strettamente giuridico, comunque, restano stretti i margini di manovra per Mosca e Pechino qualora volessero denunciare la violazione della risoluzione. Zappalà afferma che tutti quei paesi che desiderano porre la questione, Cina e Russia in primis “possono far valere la questione nel quadro di un dibattito in CdS, cosa che immagino avverrà presto". I diplomatici all’Onu di Mosca e Pechino “potranno in quella sede" afferma Zappalà, "indicare in maniera generica o in maniera puntuale, benché quest’ultima soluzione sia piu’ improbabile, quali azioni e in che misura [i paesi alleati] abbiano violato la risoluzione 1973”. Insomma non abbastanza per alterare gli equilibri in campo.