Le cinque giornate di Mogadiscio

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Le cinque giornate di Mogadiscio

04 Aprile 2007

Cinque giornate di scontri cruenti hanno
sconvolto la capitale della Somalia e causato ingenti danni alla popolazione e
alle infrastrutture.  Protagonisti della
guerriglia sono state le truppe del governo di transizione della Somalia,
coadiuvate dall’esercito etiope, e gli insorti legati al clan della famiglia
Hawiye, supportati da al-Qaida. Fino ad oggi non si hanno stime ufficiali sul
numero delle vittime tra i civili ma la Croce Rossa Internazionale, nel
ricordare che gli scontri sono i più violenti verificatisi nel corso degli
ultimi 15 anni in Somalia, parla di decine di morti e centinaia di feriti.  A questi dati si devono poi aggiungere le
circa 57 mila persone che dall’inizio di febbraio stanno lasciando la capitale
per cercare riparo altrove, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati.

Come riportato da Radio Shabelle,
l’inizio degli scontri a fuoco sarebbe avvenuto all’alba (5,30 ora locale) del
29 Marzo, con le forze etiopi che, utilizzando carri armati ed elicotteri,
avrebbero conquistato alcune zone della città, in “violazione del recente
cessate-il-fuoco.” Uno di questi elicotteri è stato poi abbattuto durante gli
scontri, secondo un testimone oculare intervistato dalla Cnn; il mezzo sarebbe stato colpito da
un razzo a spalla lanciato da una postazione di insorti.

Il 7 maggio scorso ha avuto inizio una
battaglia per la supremazia a Mogadiscio tra l’Unione delle Corti Islamiche
(ICU) e l’Alleanza per la Restaurazione della Pace e il Contro Terrorismo (ARPTC),
formata da alcuni ex-ministri del Governo di Transizione Federale, uomini
d’affari e signori della guerra somali, che si dice fosse finanziata
direttamente dalla Cia, preoccupata del sostegno di al-Qaida all’ICU. A quel
tempo gli scontri erano limitati al distretto “Sii-Sii” posto a nord della
capitale.  Nel mese di giugno gli ICU
riuscirono ad avere la meglio sulle forze della ARPTC e a ottenere il controllo
di Mogadiscio.

È a questo punto che l’esercito etiope fa la
sua entrata in scena, a supporto del governo di transizione federale somalo,
formatosi nel 2004 in Kenya e supportato dall’Onu, con base a  Baidoa. 
Quest’ultimo aveva subito un tentativo di attacco da parte delle forze
dell’ICU, nel dicembre 2006.  La capitale
somala fu quindi per tutta risposta circondata dall’esercito del governo di
transizione e quello etiope che in un primo momento avevano evitato di aprire
il fuoco per timore di ferire i civili.  Alcuni
resoconti riportano che le Corti Islamiche stavano abbandonando la città, cosa
evidentemente non vera, visto che da allora in poi la battaglia per Mogadiscio
ha continuato a espandersi fino ad arrivare alla situazione odierna.

La guerriglia ha causato la fuga di migliaia di
civili, la chiusura di tutte le attività economiche e dei mezzi di trasporto
oltre che la distruzione di numerose case e strade.  Perfino i giornalisti hanno non poche
difficoltà a reperire notizie, i resoconti provenienti dalla capitale si basano
spesso su testimoni oculari, come quello raggiunto telefonicamente dalla Cnn,
Faisal Jamah: “Un colpo di mortaio ha appena colpito l’abitazione vicino alla
mia. Possiamo sentire piangere e possiamo vedere il fumo…Ci sono molti feriti
ma non c’è modo di portarli all’ospedale a causa della battaglia nelle strade.”

Intanto, il primo ministro del governo di transizione,
Ali Mohamed Gedi, in un’intervista alla Bbc si è appellato agli islamici
moderati affinché riconoscano l’autorità del suo esecutivo partecipando alla
prossima conferenza sulla riconciliazione: “Coloro i quali rinunciano alla
violenza e riconoscono il governo di transizione federale possono partecipare.”
Lo stesso Gedi ha poi negato che gli scontri si stessero allargando anche fuori
la città di Mogadiscio.  Il 31 marzo si è
registrato un appello del clan Hawiye alla comunità internazionale volto ad
ottenere un cessate il fuoco. Ahmaed Direi Ali, portavoce della potente
famiglia somala, ha accusato le truppe etiopiche di “massacrare la gente”. “Quello
che sta succedendo in città è una carneficina di civili”.

Del 2 aprile, invece, è la notizia della morte
di un soldato che faceva parte del contingente di pace dell’Unione Africana
(circa 1200 soldati ugandesi). Il militare stava presidiando i palazzi
presidenziali, quando è stato colpito da colpi di mortaio, così come raccontato
alla Reuters dal Maggiore Felix Kulayigye, al telefono da Kampala.

Il 3, poi, Radio Shabelle ha riportato
un comunicato stampa in cui la famiglia Hawiye pone le condizioni per il
cessate il fuoco proposto dall’esercito etiope, che consistono principalmente
nel ritiro delle forze etiopiche, con l’apertura delle trattative di pace entro
24 ore e il rilascio degli “innocenti” catturati dagli etiopi durante le
operazioni.

Nel frattempo almeno sei persone sarebbero decedute a causa di colpi d’arma
da fuoco presso l’ospedale di Medina, nel sud della capitale. Insomma, il
conflitto continua.