Le colombe bocciano Fini e Bocchino ma non volano da Fli. Il capo tira dritto
15 Febbraio 2011
Non vogliono morire dalemiani, tantomeno democristiani. Ma il capo non si tocca e il partito pure. Dal conclave dei senatori futuristi esce una fumata grigia. Un compromesso, insomma, da un lato per non tirare troppo la corda con abbandoni o scissioni, dall’altro per mandare un segnale a Fini. E’ Pasquale Viespoli il regista, l’uomo che a Milano insieme a Urso e Ronchi ha capito che la nomina di Bocchino alla guida di Fli è il segnale che Fini sta virando a sinistra, in zona D’Alema, e per questo ha detto ‘ni’.
No all’idea dell’union sacrée anche ieri rilanciata dall’ex leader Ds dopo la ‘sentenza’ del gip sul Cav. Sì alla permanenza in Fli a patto che venga confermato l’ancoraggio fermo e convinto al centrodestra. La linea della colomba finiana si ferma a un passo dalla coerenza: prima Viespoli si dimette da presidente del gruppo a Palazzo Madama poi si fa rieleggere all’unanimità. Con Fini nessun contatto, ma il capo parlando coi suoi fa capire che sulle decisioni prese domenica, non intende arretrare di un millimetro. E quello che trapela dai piani alti di Montecitorio è il ritratto di un leader che bolla come “rilievi infondati” le preoccupazioni dei moderati , al punto da suggerire loro di trovare “argomenti più consistenti”. Che tradotto vuol dire: la mia posizione non si discute, Fli sta nel centrodestra e l’organigramma è coerente con la linea sancita nell’assemblea costituente.
Una doccia fredda per Viespoli e Urso che invece, avevano puntato sulla possibilità di una mediazione col capo. E adesso che succede? Se Fini non cambia posizione, come sembra, cosa faranno le colombe? Prenderanno atto e abbasseranno le ali, oppure spiccheranno il volo verso altri lidi? E’ presto per dirlo, ma un dato è certo: al di là dei prudenti tatticismi di Viespoli che, peraltro, si sono rivelati inutili rispetto all’obiettivo prefisso, il livello di tensione dentro il partito nato solo tre giorni fa è altissimo. Per i moderati il problema con Bocchino e Della Vedova non è personale, ma politico. Ed è proprio il fatto di affidare il partito a chi come Bocchino ormai da mesi è l’interprete più convinto dell’antiberlusconismo d’antan, il fustigatore più accanito del governo e dei suoi ministri (lo si è visto nei suoi interventi in Aula sulla mozione di sfiducia prima a Calderoli, poi a Bondi e nei confronti di Frattini) l’elemento sospetto che fa temere che in Fli prevarrà la linea della contrapposizione frontale, della guerra totale contro il Pdl e il suo leader.
Approccio che Viespoli, Urso e Ronchi hanno sempre criticato, ritenendo invece che un canale di dialogo con la maggioranza dovesse essere sempre tenuto aperto. Esattamente ciò che accade al Senato. A questo si aggiunge la costatazione che dalla mozione di sfiducia del 14 dicembre in poi, Fli si è schiacciata sulle posizioni di Bersani, Di Pietro e Casini, quelle del ‘tutti contro Berlusconi a prescindere”. Preoccupazione suffragata dai fatti, i voti in parlamento, e dalle dichiarazioni suoi media dei falchi finiani, con in testa Fabio Granata che pure ieri nella ridda di commenti sul rinvio a giudizio per il premier deciso dal gip del tribunale di Milano, non ha trovato niente di meglio che coniare lo slogan delle donne indignate scese in piazza (e prima ancora della kermesse moralista-giustizialista del Palasharp): “Berlusconi dimettiti: se non ora, quando?”.
Brutta musica per le orecchie di Viespoli che dopo quattro ore di vertice coi senatori, esce con le dimissioni da capogruppo in mano perché “perché a suo tempo sono stato ‘nominato’” e perché “ l’organigramma definito successivamente all’assemblea costituente non è corrispondente al mandato che ho ricevuto dal gruppo del Senato in quella sede e con il posizionamento strategico di centrodestra emerso dall’assemblea stessa”. In altre parole – è il ragionamento di Viespoli – c’è il rischio che “dall’organigramma uscito dopo l’Assemblea costituente venga veicolata una linea politica diversa da quella emersa nell’assemblea stessa”.
Passano pochi muniti e i senatori rientrano in conclave per rieleggerlo nella stessa carica. Le motivazioni stanno nella sua capacità di sintesi tra le diverse posizioni all’interno del gruppo e con “il mandato unanime di assicurare il posizionamento politico nel centrodestra”. L’elezione e non la nomina, è la condizione che fa tornare Viespoli sui suoi passi. In realtà un modo da un lato per contestare il metodo Fini con gli incarichi di Bocchino e Della Vedova calati dall’alto; dall’altro per mandare un segnale al capo che dovrà tenere conto del fatto “tutto politico”, spiega una colomba finiana, “che Viespoli ha deciso di non fare parte dell’ufficio di presidenza del partito” (al quale era stato chiamato al termine della costituente).
Ma basterà tutto questo a ricucire lo strappo? Il niet di Fini alle preoccupazioni delle colombe appare molto chiaro, come il fatto che se Viespoli, Urso e Ronchi vogliono restare in Fli dovranno adeguarsi.
E allora forse ai malpancisti non resta che riflettere sulle parole di Mario Landolfi, ex aenne rimasto nel Pdl e buon conoscitore delle dinamiche finiane, quando dice che a decidere la linea politica non sarà di certo Viespoli perché come “ha stabilito Fini c’è un solo uomo al comando”.
Un invito a lasciare le colline verdi futuriste, per coerenza. Prima che dalla primavera si passi rapidamente all’autunno.