Le culture non sono tutte uguali se non c’è rispetto dei diritti umani
31 Maggio 2011
di Souad Sbai
Parlare di diversità culturali e di migranti è un esercizio complesso su cui al giorno d’oggi necessariamente pesano gli sconvolgimenti del bacino mediterraneo e nordafricano in particolar modo. La cosiddetta “primavera araba”. Durante la conferenza dell’Unesco di Palermo, proprio sulle diversità culturali, ho avuto modo di ascoltare molte idee e altrettante visioni su questa tematica.
Non concordo, e l’ho detto pubblicamente nel mio intervento, con la scrittrice Saadawi, che considera tutte le culture uguali: per me, dove i diritti umani non sono rispettati, non c’è ritorno da una netta condanna. I diritti vanno pretesi, perché non sono negoziabili. Per questo, vedere Bouteflika sedere impunito al tavolo del G8 di Deauville, dopo un genocidio di trecentosessantamila algerini, mi ha fatto indignare e non poco. Come vedere Assad sbranare il suo popolo pressoché indisturbato mentre la Nato dà caccia grossa a Gheddafi.
In molti, dal Dott. Emanuele a Khaled Fouad Allam, passando per Tarquinio, hanno ormai chiaro che il fondamentalismo ha una parte rilevante nella questione della cosiddetta “primavera araba” e dei migranti. E che soprattutto l’Europa è fallita, portandosi dietro tutta la becera corte dei miracoli che ne sponsorizzava la imprescindibile esperienza in tema immigrazione. Conosco bene il mondo arabo e so per certo, parafrasando l’intellettuale liberale egiziano Tarek Heggy, che le prigioni della mente araba sono più resistenti e difficili da scardinare di quanto si pensi. Voglio poter denunciare a gran voce lo scandalo della vicenda dei rifugiati, che quando muoiono nel deserto libico rimangono “ombre nel deserto” e quando invece salgono su un barcone per l’Europa diventano “rifugiati”, portando con sé tanti e tanti soldi per chi ci lucra sopra senza pietà. Ma attenzione, non parliamo solo del racket dell’immigrazione clandestina, bensì anche di certe associazioni internazionali che di non lucrativo hanno solo la denominazione, al contrario di altre che fanno, fra mille difficoltà, del sostegno ai rifugiati il solo principio della propria attività.
Credo che in questo senso la straordinaria ospitalità dei lampedusani abbia fatto scuola di civiltà a molti in Europa. In migliaia partono dall’Africa subsahariana e centinaia nemmeno arrivano alle coste. Non sono dimenticati, si badi bene, sono solo clamorosamente “invisibili”. Gli occhi dei migranti sono lo specchio del fallimento del modello di immigrazione e del multiculturalismo, che sfrutta la sofferenza e spiana la strada all’estremismo. Aiutato magari anche da quei quaranta miliardi di dollari che il G8, invece di destinare ai moderati per costruire le nuove classi dirigenti, ha dolosamente affidato agli insorti, che presto si presenteranno al mondo con il loro vero volto: barba curata, macchietta nera sulla fronte e occhi iniettati di odio.