“Le dichiarazioni di Ciancimino Jr. su Forza Italia sono la fine del pentitismo”
09 Febbraio 2010
"Con gli Spatuzza e i Ciancimino siamo al tramonto, se non alla fine del pentitismo". Nel giorno in cui il figlio di don Vito ai giudici dice che "Forza Italia è il frutto della trattativa tra boss e Stato", Lino Jannuzzi non ha dubbi. Da giornalista prima e da parlamentare poi, si è occupato a lungo di criminalità organizzata, di mafia e camorra, di pentiti veri e falsi: da Buscetta a Contorno per arrivare a Spatuzza e Ciancimino jr. Ed è proprio sulla gestione dei collaboratori di giustizia che segnala le anomalie di un impianto che "così com’è oggi, non funziona più", rilanciando la proposta che sette anni fa presentò in Senato: una commissione parlamentare d’inchiesta per fare luce su storture ed eventuali responsabilità, dei pentiti certo, ma anche dei pm.
Jannuzzi, oltre al famoso "papello", Ciancimino jr adesso riconduce la nascita di Forza Italia ad un patto tra boss mafiosi e Stato. Che sta succedendo secondo lei?
Siamo ormai al tramonto se non alla fine del pentitismo. L’abrnormità delle dichiarazioni del figlio di Ciancimino che da un anno dice balle si commentano da sole, ma aggiungo che stavolta certi pm hanno esagerato.
Cosa intende?
Mi domando come si possa dar credito a un personaggio che attribuisce le cose che dice al padre che è morto otto anni fa. E’ come se facesse parlare un morto. E come si fanno i riscontri? E’ impossibile. Bisognerebbe fare una seduta spiritica e la cosa francamente fa un po’ sorridere. Aggiungo che durante la gestione Caselli, nel periodo d’oro dei pentiti, la procura di Palermo aveva raccolto un archivio denominato "Sistemi criminali" e dentro c’erano i teoremi sulla mafia, sulla massoneria, sull’assassinio di Moro. Quando al posto di Caselli andò Piero Grasso, lui li mandò al macero.
Quindi qual è, se c’è, il nesso?
Dopo che Grasso è diventato procuratore nazionale antimafia, certi pm hanno ripreso in mano quell’archivio. Da un anno Ciancimino prima nei verbali di interrogatorio, poi parlando con i giornalisti, poi andando da Santoro ad Annozero, recita le carte di quell’archivio. Tutta roba nota, che però Grasso aveva gettato al macero.
Sta dicendo che c’è una strategia politica di alcuni magistrati nella gestione dei pentiti?
Siamo in una fase di transizione, delicata sul piano politico. C’è il processo breve, il legittimo impedimento, si parla di reintrodurre l’immunità parlamentare. La maggioranza ha in un certo senso preso le distanze dal ddl Valentino sull’uso delle dichiarazioni dei pentiti di mafia per non mettere troppa carne al fuoco anche se io quel provvedimento lo condivido. Ma di fronte alle dichiarazioni di Ciancimino è evidente che si è arrivati all’ultimo stadio.
Si spieghi meglio.
Con simili dichiarazioni non si vuole colpire più o solo questo o quel Berlusconi, bensì mettere sotto processo un partito. I pm che dopo un anno hanno portato Ciancimino a questo stadio, di fatto è come se volessero processare Forza Italia che stando alle deposizioni di quello che non si sa se è un testimone dell’accusa o un testimone di mafia visto che non ha lo status di pentito, è stato Provenzano e Cosa nostra a fondare e non Dell’Utri per conto di Berlusconi. Siamo veramente all’assurdo. E il paradosso è che tutto ciò accade nel momento in cui il governo, lo Stato sta sferrando un colpo durissimo alla criminalità organizzata: i boss sono tutti in carcere e gli arresti eccellenti di latitanti completano il quadro insieme alla confisca e al sequesto dei beni della mafia. Insomma adesso c’è un salto di qualità.
Quale?
Finora si era sempre parlato di rapporto tra mafia e politica, con la mafia che sale sul carro del vincitore, prima con la Dc poi secondo le tesi di questi pseudo pentiti con Berlusconi. Ora, invece, si arriva a sostenere che è addirittura un capomafia, Provenzano, che ha fondato Forza Italia. Una cosa che non sta né in cielo né in terra. Nessun corrispondente di un quotidiano straniero potrebbe raccontare come credibile una cosa così. Non sarebbe mai accaduta ai tempi di Buscetta.
Esistono differenze tra quei pentiti e quelli di oggi?
Se Buscetta avesse raccontato a Giovanni Falcone le balle che da un anno va raccontando Massimo Ciancimino ai pm di alcune procure, molto probabilmente sarebbe successo ciò che accadde con un falso pentito, tale Giuseppe Pellegriti. Costui gli raccontò che il mandante dell’assassino del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella era stato Salvo Lima, referente della corrente di Andreotti in Sicilia e all’epoca presidente del Consiglio, Falcone arrestò e incriminò Pellegriti per calunnia. Buscetta fu interrogato per tre mesi da Falcone e per tre mesi non uscì una parola da quegli interrogatori. Per sapere ciò che Buscetta aveva detto, fu necessario attendere le centinaia di mandati di cattura con cui Falcone avviò il maxi processo. Credo che se oggi Falcone si fosse trovato davanti Massimo Ciancimino, avrebbe fatto come con Pellegriti. Quando parlava Buscetta diceva questa cosa me l’ha detta Badalamenti e i pm di allora andavano in America a interrogare in carcere Badalamenti e verificare.
E adesso?
Ora Ciancimino presenta fotocopie di documenti, lettere in cui una parte è tagliata. Perché questo? E’ ben strano, forse perché la parte mancante smentiva l’interpretazione della parte che è stata consegnata? E’ questo il pizzino? Sono questi i riscontri? Tutto ciò per dire che ai tempi in cui la gestione dei pentiti funzionava, c’erano altri pentiti, i Buscetta appunto, i Contorno e altri magistrati come Falcone e Borsellino. Penso che a questo punto serva una commissione d’inchiesta sulla gestione dei pentiti.
Lei l’ha già proposta quando era senatore.
Sì, sette anni fa e su quel testo raccolsi 115 firme di senatori tra i quali anche quelli del centrosinistra allora all’opposizione, ma poi non se ne fece nulla. Ora vedo che si torna a parlarne e mi fa piacere, per iniziativa di Compagna e la Chiaromonte e tra le prime firme c’è anche quella di Francesco Cossiga.
Con quale obiettivo?
Un’inchiesta parlamentare che verifichi come sono stati gestiti i pentiti in questi quindici anni e sulle responsabilità che a mio parere hanno alcuni magistrati. Una commissione d’inchiesta come preludio a una legge che se non proprio abolisce il pentitismo, mette paletti seri. Comunque sia, quell’epoca è al tramonto.
Alternative?
O si torna ai vecchi sistemi di inchiesta, verifica e accertamento delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, specie adesso che si sono strumenti che un tempo non c’erano quali le intercettazioni, le nuove tecnologie e si combatte la criminalità, oppure se si continua a sperare in questi pseudo pentiti, lo strumento ha già perso la sua efficacia.
Secondo lei in che modo si dovrebbe rilanciare l’istituto dei pentiti?
E’ molto difficile trovare un minimo di credito a qualcosa che con gli anni è andata perdendo la sua efficacia. Penso che sulla scena debbano ricomparire magistrati come Falone e Borsellino e pentiti come Buscetta.
La maggioranza stigmatizza le dichiarazioni di Ciancimino e parla di tentativo di delegittimare il governo alla vigilia delle elezioni, il Pd non si sbilancia mentre Di Pietro si scaglia contro quello che definisce un governo "paramafioso". Qual è il suo giudizio?
E’ significativo che nessuno degli esponenti del Pd prenda posizione. Di Pietro invece, prima al congresso annuncia la svolta dicendo che adesso occorre lavorare ad un’alternativa democratica a Berlusconi e subito dopo rispolvera l’armamentario dell’antiberlusconismo, tentando di dar credito alle parole di Ciancimino. E’ interessante notare le parole di Pino Arlacchi eurodeputato del suo stesso partito e tra i fondatori della Direzione investigativa antimafia, che a Di Pietro consiglia prudenza prendendo le distanze dall’affermazione di ‘governo paramafioso’. Arlacchi sostiene infatti che Ciancimino, cito testualmente, ‘ha una posizione interessata e ha una scarsa attendibilità, a tanti anni di distanza’. E’ come se dicesse: caro Di Pietro stai alla larga da Ciancimino. Quello dell’attacco in campagna elettorale non è un argomento che mi appassiona. La verità è un’altra.
Cioè?
Da quando con Mani Pulite è crollata la prima Repubblica e sono sono stati spazzati via i partiti e con loro un’intera classe dirigente, in questi quindici anni, alcuni magistrati e molti esponenti della sinistra, non si aspettavano che al posto della Dc della prima Repubblica arrivasse Silvio Berlusconi e che oltretutto continuasse a dominare la scena politica per tutto questo tempo avendo dalla sua parte un consistente consenso popolare.