Le dimissioni di Bossi segnano la fine di un’epoca e quella politica di un leader
05 Aprile 2012
Dimissioni “irrevocabili”. Umberto Bossi lascia la guida della Lega dopo l’inchiesta sull’ex tesoriere Belsito. Dimissioni da segretario presentate sul tavolo del Consiglio Federale riunito per fare il punto sulla vicenda giudiziaria che da giorni scuote il movimento. E’ stato nominato presidente ma il timone ora passa nelle mani di un triumvirato: Maroni-Calderoli-Dal Lago. A Radio Padania centinaia di telefonate di militanti increduli, poi le note di ‘Va Pensiero’, mentre davanti al quartiere generale di via Bellerio, molti leghisti sventolano bandiere listate a lutto.
Congresso tra un mese, saranno i triumviri a gestire questa fase, delicatissima, che al netto dell’inchiesta, sul piano politico segna comunque la fine di un’epoca e forse anche quella politica di un leader. Bossi ha motivato la decisione di fare un passo indietro per “poter meglio difendere e tutelare l’immagine del movimento e la sua famiglia, in questo delicato frangente”, si legge in una nota del Carroccio al termine del Consiglio Federale.
Nelle carte dell’inchiesta, spunterebbe un carnet di assegni con la scritta “Umberto Bossi” relativo al conto corrente della banca sulla quale venivano versati i contributi al Carroccio. Sarebbe stato trovato insieme ad altri carnet nella cassaforte sequestrata a Francesco Belsito, l’ex tesoriere indagato da tre procure. In sostanza, i magistrati ritengono che da quel conto corrente, gestito da Belsito, potrebbero provenire le somme destinate a spese personali di familiari del Senatur. Che si è sempre proclamato estraneo alla vicenda e pronto a denunciare chi “ha usato i soldi della Lega”. Al centro dell’indagine, ci sarebbero poi una serie di intercettazioni telefoniche tra Belsito e una dirigente amministrativa del movimento, Nadia Degrada, che chiamerebbero in causa anche Roberto Calderoli.
La notizia ha scosso i palazzi della politica, lungo l’asse Milano-Roma. Roberto Maroni lascia il quartier generale del Carroccio raccontando la ‘grande commozione’ all’annuncio di Bossi. “Gli abbiamo chiesto di restare ma lui è stato irremovibile. Io gli ho detto che se deciderà di ricandidarsi al congresso federale io lo sosterrò”. Il lungo abbraccio col Senatur è l’ultimo flash di una riunione carica di tensione. Tra i due negli ultimi mesi ci sono state fasi alterne, un rapporto talvolta burrascoso, con l’ex ministro dell’Interno impegnato nella corsa alla successione e nella competizione coi fedelissimi del ‘cerchio magico’ (vedi l’ultima Pontida). Bossi lì a cercare di mediare tra le due componenti per evitare quel redde rationem che, a questo punto, pare ormai solo una questione di tempo.
A un mese dalle amministrative l’inchiesta di tre procure sull’operato dell’ex tesoriere, ha l’effetto di un terremoto dagli effetti devastanti. I leghisti fanno quadrato attorno al leader ma, al di là delle frasi di rito, forse hanno già preso atto che da oggi si chiude una pagina importante della storia del Carroccio. E ‘l’onore delle armi’ arriva anche dai chi, come appunto i maroniani, non hanno certo risparmiato critiche alla linea filo-berlusconiana del ‘vecchio leone padano’ nei tre anni del governo Berlusconi, come alle posizioni oltranziste dei pretoriani del ‘capo’. L’europarlamentare Matteo Salvini va all’attacco e dai microfoni di Radio Padania rassicura il popolo lunbard: “Per non dare spazio a queste mitragliate contro la Lega Umberto Bossi ha fatto un passo indietro. E’ un grande uomo. Un passo indietro o un passo avanti o a lato. Vedete voi. Ragazzi adesso avanti basta piangere andiamo ad attaccare i manifesti alla faccia di quei coglioni che vogliono fare il funerale della Lega”.
Per il sindaco di Varese Attilio Fontana “Bossi ha dimostrato di avere a cuore il movimento e ha fatto una cosa dolorosa per lui, ma credo che sia quella più utile per il movimento, per evitare che una situazione come questa potesse creare problemi. E’ uscito da vero leader dal movimento”. Sulla stessa lunghezza d’onda praticamente tutti gli esponenti del movimento.
Dalle file del Pdl Fabrizio Cicchitto si sofferma sul ruolo di Bossi nella politica italiana che “per molti aspetti ha segnato un’epoca e costituito una delle più rilevanti novità dall’inizio degli anni ’90 ai giorni nostri” e Maria Stella Gelmini sottolinea che le dimissioni “date in modo così tempestivo dimostrano la buona fede di Bossi e come il suo impegno sia sempre stato legato alla passione per la politica, senza nessun interesse personale. Quando eravamo ministri, in Cdm l’ho sempre visto battersi per i valori e gli ideali in cui credeva”. Un gesto di responsabilità, insomma, che “merita assoluto rispetto, non solo da parte nostra, ma anche da parte degli avversari politici. Siamo alleati della Lega e ci sentiamo molto vicini a Bossi in questo momento”. Chi ha avuto modo di parlare con Berlusconi riferisce il suo rammarico per la bufera che ha colpito “l’amico Umberto” ma anche la costatazione che pure Bossi è finito nel tritacarne della giustizia ad orologeria, guarda caso – è il ragionamento del Cav. – a un mese dalle amministrative.
L’inchiesta farà il suo corso, come è giusto e doveroso che sia. Come altrettanto giusta e doverosa, in uno stato di diritto, è la presunzione di innocenza per gli indagati, fino a prova contraria. Ma al netto del dossier giudiziario, ciò che torna alla mente sono le immagini del deputato leghista Leoni Orsenigo che sventolò il cappio a Montecitorio ai tempi di Tangentopoli, o più di recente col pollice all’insù dei parlamentari lumbard sull’arresto di Alfonso Papa, deputato Pdl finito sott’inchiesta, per il quale il Tribunale del Riesame nei giorni scorsi ha stabilito che non c’erano validi presupposti. Immagini che stridono con quelle di oggi a via Bellerio e dicono due cose. La prima: nessuna forza politica è immune a prescindere, da comportamenti di singole persone che hanno in mano la gestione di risorse pubbliche. Secondo: è ora di riscrivere le norme che regolano la trasparenza e i controlli sui bilanci dei partiti.