Le dimissioni di Narducci, un altro elemento per valutare De Magistris alla prova dei fatti
19 Giugno 2012
Prima Rossi, poi Vecchioni, ora Narducci. Se è vero che tre indizi fanno una prova, forse è il caso di cominciare a porsi qualche domanda sul modus operandi del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Al netto delle motivazioni alla base del progressivo distacco di pezzi importanti della sua squadra di governo, in questi screzi e nella maniera in cui si sono evoluti ci sono i tratti evidenti di un certo modo di fare politica.
Il primo, che è anche il più eclatante, è l’opacità e la poca trasparenza con cui i cittadini vengono informati dei fatti. Se in certi casi la discrezione è sicuramente apprezzabile, quando si ha a che fare con l’amministrazione di una città e con le problematiche che possono sorgere nel portare avanti tale compito nell’interesse pubblico, forse sarebbe più opportuno che i diretti interessati fossero messi subito al corrente di ciò che sta succedendo. E invece, fino all’ultimo, sui tre casi in questione ci sono state solo indiscrezioni, voci emerse in maniera sempre più insistente, continue smentite da parte del sindaco per negare l’evidenza salvo poi, a un certo punto, ritrattare e intervenire a gamba tesa per stoppare la controparte. Oltretutto, con una versione (la sua) a quel punto diffusa urbi et orbi e che ben poco spazio ha lasciato alle repliche.
Così, anche stavolta i cittadini – dopo aver ascoltato per settimane la balla secondo cui le incomprensioni tra il sindaco e l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Narducci, sarebbero state solo voci, montate ad arte e esagerate dalla solita stampa per fare notizia e intralciare l’operato dell’amministrazione arancione – vengono a scoprire che forse le cose stavano persino peggio di quanto non fosse trapelato. E non lo dicono solo i fatti, e cioè le dimissioni ufficiali e senza possibilità di ripensamento da parte di Narducci, ma anche la durezza con cui De Magistris ha affidato ad un post sul suo blog le dovute spiegazioni dell’intera vicenda.
L’ex pm ci va giù pesante con il collega, che è anche un vecchio amico, che lo accusa di utilizzare gli stessi metodi e decisioni delle passate giunte. Non risparmia niente a quello stesso assessore che ha fortemente voluto, persino contro l’avviso del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva espresso seri dubbi circa l’opportunità di affidare un incarico del genere a chi nel medesimo territorio aveva operato già come magistrato (e che ora, sempre su quel territorio, tornerà ad operare). "L’ho scelto – dice De Magistris – perché garantisse a questa amministrazione di essere totalmente impermeabile al crimine organizzato e alla corruzione, lavorando sul tema dei contratti e delle gare, terreno in cui da sempre si annida il rischio del malaffare e che alimenta il circuito criminale. Su questo tema, quello che doveva essere il suo principale campo di intervento, non ho potuto registrare un significativo contributo da parte sua, tanto che personalmente sto operando per introdurre cambiamenti fondamentali su tale fronte e, ad oggi, l’ho fatto senza il suo apporto". Poi, scorrendo la lettera aperta del sindaco, c’è un altro passaggio chiave, altrettanto duro: "E’ accaduto che declinasse la politica non come risoluzione dei problemi volta alla tutela dei più deboli nell’orizzonte della legalità e del diritto, ma come cieca intransigenza e furioso formalismo della norma, spesso paradossalmente accanendosi con i più deboli, arrivando a confondere legalità formale con legalità sostanziale, strumentalizzando politicamente il rispetto della legge e della Costituzione che devono necessariamente realizzare la giustizia sociale". Un passaggio che mette in evidenza, come fa notare il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco De Marco, una personale idea di legalità del sindaco non solo discutibile ma anche insidiosa: quella secondo cui esiste una differenza tra ‘legalità formale’ e ‘legalità sostanziale’, la prima derubricata a ‘cieca intransigenza e furioso formalismo della norma’ e la seconda identificata, di fatto, nella interpretazione discrezionale e nella conseguente traduzione operativa che ne fa De Magistris. Come se di legalità non ce ne fosse una sola, valida per tutti e declinabile in maniera univoca.
Poi c’è un altro aspetto del modo di fare politica di Giggino ‘lo scassatore’ che emerge, inevitabilmente, da questa come anche dalle altre vicende: e cioè l’incongruenza tra il dire e il fare, l’incoerenza di fondo nelle scelte compiute. In questo caso è legittimo chiedersi, ad esempio, perché se De Magistris era così scontento come dice dell’operato di Narducci, non lo abbia licenziato lui anziché aspettare che fosse l’assessore a dimettersi. Incongruenze di altro tipo, ma identiche nello spirito di fondo, sono emerse del resto dalla gestione dell’allontanamento di Raphael Rossi dalla guida dell’Asìa, dopo che il sindaco si era sperticato in continui elogi di questo dirigente "incorruttibile" salvo poi estrometterlo con motivazioni talmente poco chiare da far sbottare persino uno come Roberto Saviano; e nell’andamento del caso Vecchioni, che ha scatenato un vespaio per poi risolversi nel nulla e aggravare la già disastrosa situazione del Forum delle Culture, di recente liquidato anche dal sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura.
Ernesto Galli della Loggia ha ragione quando dice che parlare in maniera troppo enfatizzata di una ‘perdita di pezzi’ può essere per certi versi fuorviante e superato, perché è giusto e naturale che un sindaco abbia piena libertà di modificare in itinere la sua squadra. Ma è anche vero che dalla gestione di situazioni come questa vengono fuori elementi evidenti e importanti della filosofia che sta alla base del modo di agire di un amministratore. Che di fronte a incomprensioni che è persino normale possano sorgere, reagisce barricandosi dietro le proprie ragioni e tenendo fino all’ultimo momento i cittadini all’oscuro di ciò che sta succedendo. La ‘rivoluzione arancione’, che è stata anche e soprattutto un innegabile slancio di inclusione e partecipazione della cittadinanza, non regge così alla prova dei fatti. E rischia di trasformarsi nel potere di un uomo solo che, anziché ascoltare le istanze provenienti dalla base e dai membri della sua squadra, vuole imporre la sua discrezionale interpretazione delle cose e la sua idea su come metterle in pratica. Ma di democratico, in tutto questo, c’è veramente poco.