Le donne musulmane chiedono giustizia per Hina

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Le donne musulmane chiedono giustizia per Hina

27 Giugno 2007

Hina Saleem  aveva 21 anni, era pakistana e viveva da tempo in Italia. Il suo corpo, segnato da diverse coltellate e avvolto in alcuni sacchetti di plastica, era stato trovato sepolto nel giardino della casa dei suoi genitori a Sarezzo, in provincia di Brescia. Il padre e lo zio l’avevano fatta a pezzi. Un delitto d’onore perché le ragazza si ribellava ai costumi della sharia e voleva vivere come una qualunque ragazza italiana. Magari con un ragazzo italiano che la amava. E che poi fu quello che denunciò per primo la sua scomparsa. Era l’11 agosto del 2006. E dopo la scoperta del cadavere vennero fuori macabri particolari: la ragazza era stata pressoché decapitata, la messa in pratica dello sgozzamento, rituale che nella religione islamica è previsto per gli agnelli. Un po’ come accadde in Pakistan al giornalista ebreo americano Daniel Pearl. Poi il corpo fu fatto a pezzi e messo nei sacchi condominiali dell’immondizia e nascosto nel giardino. Subito i sospetti si appuntarono sul padre sullo zio di Hina che erano introvabili. In via Dante 133 erano rimasti anche i documenti e il permesso di soggiorno di Muhammed Saleem, mentre le carte dello zio sarebbero state ritrovate in seguito nell’abitazione dove faceva ufficialmente base, in un paese a pochi chilometri da Sarezzo. Pochi giorni dopo i due si costituirono e confessarono il delitto.

E domani a Brescia si apre finalmente il processo contro i carnefici di questa splendida ragazza che aveva un fidanzato italiano e voleva vivere come una donna integrata nel nostro paese, se solo la sua famiglia glielo avesse permesso. Una famiglia di assassini e di donne che si voltano dall’altra parte. Come nei delitti d’onore della Sicilia degli anni ’50. Per l’islam fondamentalista il padre ha il diritto di uccidere una figlia che si comporta in maniera sconveniente, magari mettendosi la minigonna o vivendo more uxorio con il proprio fidanzato. Ma per gli islamici liberali e moderati come Souad Sbai questo diritto non esiste. Per questo domani il tribunale di Brescia sarà invaso dai membri della Acmid donna, cioè la onlus dell’associazione della comunità delle donne marocchine in Italia, che tenterà anche di costituirsi parte civile nel processo. Una costituzione di parte civile che è stata promessa anche dal governo italiano. Anche se la prima nota stonata, politicamente parlando, di questa ignobile vicenda, fu proprio la dichiarazione a caldo della ministra per le pari opportunità Barbara Pollastrini che disse ai giornali e ai Tg che “Hina era stata uccisa dal maschilismo non dal credo religioso del padre e dello zio”. Una maniera come un’altra di tapparsi gli occhi e di far finta di non vedere la condizione terribile in cui sono costrette a vivere centinaia di immigrate mussulmane qua in Italia a causa della diffusione di una specie di legislazione parallela nelle comunità dove comandano gli imam integralisti. Quasi tutti targati Ucoii.

Nel processo che prenderà il via domani gli imputati di omicidio sono quattro, il padre Mohammed Saleem e lo zio Mohammed Tariq. Poi i due cognati della ragazza Mahmoud Zait e Ahmed Saleem. Ma i comprimari che chiusero gli occhi favorendo questo delitto sono stati molti altri nella comunità pakistana di Brescia, senza dimenticare il ruolo estremamente ambiguo della madre, accusata di favoreggiamento, che durante i giorni che precedettero e seguirono quell’omicidio, la settimana tra il 10 e il 18 agosto 2006, pensò bene di tirarsi fuori da quella storia ( questo il sospetto dei magistrati), facendosi un viaggio all’estero. Non era inconsapevole però delle intenzioni del padre che era letteralmente impazzito per il comportamento di Hina.

Oggi Souad Sbai e l’Acmid si sono comprati apposta gli spazi sui giornali per gridare al governo di sinistra che non è possibile alcun compromesso con gli imam integralisti che sono i veri artefici di questo odio che spinge i genitori a uccidere i propri figli. “Diamo alle donne immigrate istruzione obbligatoria, corsi di alfabetizzazione, leggi che le tutelino, rendiamole veramente libere di scegliere il loro futuro, libere di far valere i loro diritti senza che per questo abbiano alcunché da temere”%2C dice oggi la Sbai, che insieme alla moglie di Giuliano Ferrara, Anselma Dall’Olio, e alla Daniela Santanchè sarà a Brescia per testimoniare da che parte stanno le donne e le femministe non ideologizzate.

Le altre, forse, la pensano proprio come la Pollastrini, che pur di non dare la colpa all’Islam di un comportamento che invece è stato indotto al 100% dal fondamentalismo religioso, si dimenticano persino di essere state attiviste del movimento durante i formidabili anni ’70. E certo questo atteggiamento di malafede ideologica può avere contribuito non poco a creare quell’atmosfera di omertà e di relativismo culturale in cui i parenti di Hina si sono quasi sentiti autorizzati a consumare questo orrendo delitto.