Le elezioni si vincono contando i voti e non interpretando i dati
18 Maggio 2011
di F. C.
Abbiamo scoperto, grazie al Centrosinistra, che il vecchio metodo della conta dei voti per stabilire chi vince le elezioni, è ormai superato. Perché numeri e seggi non valgono nulla. Figurarsi il calcolare in quanti comuni si è vinto e confrontare risultati vecchi e nuovi: è un dettaglio. Del resto le maggioranze di governo a cosa servono? E così all’indomani del voto, quando si tirano le somme, ci spiegano che il fatto che il Centrosinistra non abbia riconfermato le sue amministrazioni in tre (su quattro) dei principali comuni in cui si è votato – Francavilla, Roseto e Vasto, tutte al ballottaggio – e che il Pdl abbia conquistato molti piccoli comuni, stravincendo addirittura nella marsica, non significa niente. E anche aver mantenuto tutti i comuni precedenti al voto, con la possibilità di aumentarne il numero è cosa di poco conto. E’ un semplice gioco consolatorio, andare avanti e indietro sul pallottoliere.
Sarà. Se così dice il senatore del Pd, Giovanni Legnini, ci crediamo. Ci spieghi però, a questo punto, il senatore, quali altri metodi conosce per stabilire l’esito di un’elezione se non la conta dei voti. E’ lecito che ognuno tiri l’acqua al suo mulino. Ma arrivare fino al punto di negare la realtà è troppo. Si rassegni l’opposizione: l’Abruzzo non è Milano. E i dati contano. Così come hanno contato le divisioni dell’opposizione, che ormai ha dimostrato di essere in mano alle sue ali più estreme.
Certo, le divisioni hanno pesato anche all’interno del Centrodestra. E sono state l’unico l’ostacolo alla vittoria piena. Negarlo non sarebbe corretto. Ma con altrettanta correttezza politica il Centrosinistra deve accettare un risultato che non le consegna affatto il trofeo della vittoria tra le mani. Brucia evidentemente il fatto di non essere riusciti a sfruttare un’occasione ghiotta: stavolta il vento era favorevole, il Pd regionale avrebbe potuto cavalcare l’onda nazionale. E invece al giro di boa ha sbagliato rotta, facendosi distaccare da tutti gli altri equipaggi. Ciò ha reso la mancata vittoria ancora più bruciante. Perciò, piuttosto che perdere tempo in incomprensibili mistificazioni della realtà, il Pd rifletta sui propri errori. Con umiltà.
Perché dove non ci sono né veri vincitori, né veri sconfitti, c’è una politica tutta da disegnare. E il Pdl lo sa bene. A ranghi serrati guarda dritto al ballottaggio. Ma soprattutto guarda oltre. A un futuro da rimodulare e ad un’unità da rinsaldare. Perché il punto di non ritorno può avvicinarsi pericolosamente se non si rafforzano le ragioni di un’unità politica che in questi due anni ha portato l’Abruzzo a raggiungere risultati sorprendenti.
Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, parlando al cuore della gente e dialogando con le forze moderate. Divisi non si arriva lontano e si rischia di sacrificare forze importanti per il partito. La sonora sconfitta del Terzo Polo sia un monito: la gente oggi chiede certezze alla politica. Il merito principale di queste elezioni è che in qualche modo hanno rappresentato un’operazione verità: tutti i nodi sono venuti al pettine. Nessun errore è stato perdonato, nessuno sconto ai troppi scontri che hanno indebolito gli schieramenti.
Il segnale è chiaro. Ora l’avversario da sconfiggere ha un volto preciso, quello della conflittualità e dell’instabilità. Da sostituire con quello delle idee e della condivisione. Perché i voti si prendono grazie alla forza del proprio messaggio. E un messaggio è tanto più forte se le voci vanno tutte in un’univa direzione. E con buona pace di Legnini e del suo pallottoliere. Per vincere le elezioni, serve contare qualche voto in più. Se ne convinca anche lui.