Le “Esperienze pastorali” e l’imprimatur estorto

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Le “Esperienze pastorali” e l’imprimatur estorto

Le “Esperienze pastorali” e l’imprimatur estorto

09 Luglio 2007

Quando si scrivono articoli con la pretesa di fare del “profetismo” occorre almeno la precisione, evitare di dire sciocchezze come quella «tutti i suoi libri (di don Milani) portano l’imprimatur»… no davvero! Nessuno dei suoi libri porta l’imprimatur (cioè il permesso dell’autorità ecclesiastica che, almeno una volta era obbligatorio) se non il primo «Esperienze pastorali»… ma come detto imprimatur fu ottenuto, con la frode, meglio sarebbe stendere un velo pietoso. Ma queste tarde prefiche che si gettano cenere in capo di fronte alla vita e all’opera deleteria milaniana ci costringono a far conoscere meglio ai nostri lettori la figura del “prete rosso”.

Con superba fierezza confidava alla mamma poco prima: «In quanto a San Donato io ho la superba convinzione che le cariche esplosive che ci ho ammonticchiato in questi ultimi cinque anni non smetteranno di scoppiettare per almeno 50 anni, sotto il sedere dei miei vincitori!» “Il finale di fuoco” cioè la pubblicazione di «Esperienze pastorali» è una storia che dimostra il vero volto di don Lorenzo Milani; su consiglio dell’editore della «Lef» (Libreria Editrice Fiorentina, nda), il sinistrissimo Vittorio Zani, siccome era utilissimo avere un imprimatur, si cercarono “strade traverse” e proprio lo Zani racconta: «Si dovette ricorrere ad una specie di raggiro, altrimenti non c’era sistema di pubblicare il libro».

Come revisore fu scelto da don Milani un suo amico, il Padre domenicano Reginaldo Santilli. Anch’io che ebbi l’onore di averlo come caro amico posso testimoniare sulla sua grande preparazione, sulla sua cristallina ortodossia – è stato l’autore di due stupendi libri contro il “razzismo biologico” nazista, tra l’altro – e posso testimoniare anche sulla sua profonda competenza e sul suo attaccamento alla Curia fiorentina. Padre Santilli si limitò ad analizzare il testo e a consigliare in camera caritatis molti emendamenti a Don Milani, segnando anche “con matita blu” intere pagine: don Milani avrebbe dovuto quindi restituire il manoscritto corretto ed emendato. Scrisse in fondo due righe amichevoli facendogli gli auguri per la sua salute e, naturalmente, lo firmò.

Don Raffaele Bensi avuto il manoscritto da don Milani attese il momento opportuno in cui tutti coloro che glielo avrebbero potuto impedire erano assenti dalla Curia: assenti i due cancellieri e i due segretari, il vescovo coaudiutore; in un assolato giorno di piena estate, quando il vecchio porporato, Elia Dalla Costa, stava per lasciare il posto del suo lavoro, si presentò don Bensi con il dattiloscritto incompleto e senza il nome di don Milani, asserendo che era cosa importante e urgente, lo pregava di firmarlo per la stampa, dal momento che, in quei giorni, in Curia non c’era nessuno per firmarlo. Aggiungeva (mentendo) che era già stato riveduto e approvato da Padre Santilli e che era onorato da un’ampia prefazione dell’Arcivescovo di Camerino, Monsignor D’Avack, il quale lo pregava caldamente – suo tramite – di apporvi l’imprimatur. All’udire che la richiesta veniva dall’Arcivescovo di Camerino il vecchio porporato, senza rendersi conto del contenuto, vi appose la firma (cfr «Il Mito di don Milani» di Franco Adessa (Ed. Civiltà, Brescia).

Quando scoppiò lo scandalo per il raggiro dell’imprimatur di «Esperienze Pastorali» i domenicani P. Tito S. Centi e Padre Reginaldo Santilli, su richiesta del professor Magrini, convennero di dare alla luce una pubblicazione firmata da entrambi e Vittorio Zani (il sinistro capo della «Lef») approvò l’iniziativa, manaturalmente (more solito) non mantenne la promessa in quanto quella “risposta” non era in armonia con i “Quaderni della Corea” diretti dal rossissimo Don Alfredo Nesi i cui quaderni (editi da Zani) portavone insigni “perle” dovute alle penne gentili di Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Balducci, Luigi Bettazzi… e tutto il comintern del sinistrume clericale e stalinista italiano… Così era nato il “mito di don Milani”!

Si afferma anche con la solita melassa – e io quarant’anni che lo sento affermare – che «quarant’anni fa (don Milani) ha voluto essere sepolto coi paramenti sacri con ai suoi piedi i suoi grossi scarponi da contadino. È con quelli che si è presentato alla porta del paradiso». Dio mio… ogni prete – come anche Balù il mio stupendo gatto siamese sa – vien vestito, una volta morto, con i paramenti sacri: è una vecchia saggezza della Chiesa che ricorda, così, che non si è preti “a contratto” e nemmeno “per tutta la vita” ma “in aeternum%E2